fotografie di Sarah Kouhou
Esiste un luogo sull’altipiano
triestino, dove basta varcare una porta e ci si ritrova nel mezzo di un deserto
nordafricano accompagnati da neri dromedari dagli occhi rossi, in groppa ai
quali è possibile esplorare questo mondo immaginario e fermare il tempo in modo
da potersi permettere di immergersi totalmente nella musica mentre suoni
dilatati ci cullano secondo il tempo scandito dalla base ritmica che regge il
gioco e ci permette di viaggiare senza sosta. E' di questo che si ha bisogno
ogni tanto, in altre parole di un’allucinazione creata dalla musica
piacevolmente suonata con passione.
Il mondo immaginario appena
descritto non è per niente una dimensione nuova, gli stessi protagonisti di
questa storia lo ammettono e mettono le mani avanti un po’ per correttezza nei
confronti di chi prima di loro ha già creato mondi e personaggi di una propria
mitologia o esplorato lande musicali desolate e allo stesso tempo floride di
colori, sensazioni e atmosfere, e un po’ per evitare critiche, giudizi e
commenti, perché, come scopriremo, si tratta di gente con i piedi ben saldi per
terra che delle loro precedenti esperienze musicali ne hanno fatto un ricco
vademecum per vivere e sopravvivere senza montarsi la testa.
Proprio per questo li ho scelti,
perché oltre alla loro musica, che ad essere sincero mi piace e quindi è un mio
giudizio personale di parte, la loro politica promozionale, se così possiamo
chiamarla, e lo spirito con il quale affrontano quest’avventura sono sinceri e
genuini. Senza aspettative di alcun genere.
Tutto questo inizia quattro anni
fa in una sala prove immersa in un paradiso urbano, dove gli abitanti delle
case immediatamente vicine sembrano non protestare mai. E già questa è roba di
un altro mondo.
Proprio qui ho potuto incontrare
una band molto interessante che volentieri vado a presentarvi.
Banalmente, come loro stessi
ammettono, il nome deriva dalla passione comune dei membri della band per gli Ozric Tentacles e la località dove
suonano. Ecco gli Ozcine quindi, un
interessante band composta di quattro elementi, alcuni dei quali già noti
nell’ambiente triestino, che per pura passione hanno realizzato questo progetto
formato da amici che si divertono a fare musica priva di schemi o di qualsiasi
altro elemento studiato a tavolino che possa impedire la libertà d’espressione
artistica di ognuno di essi. La loro musica si basa principalmente sull’improvvisazione.
Per la loro formazione musicale,
come già detto, oltre agli Ozric, sono molto vicini ad altre realtà esistenti
come Tool oppure ai Gong, senza dimenticarsi che hanno un
forte richiamo anche verso diversi nomi di quei furboni dei Corrieri Cosmici del crucco Kraut Rock.
Gli Ozcine suonano secondo il
proprio stato d’animo ed eseguendo le musiche così come vengono in quel momento;
partono da un riff o da un giro che uno di loro esegue anche durante la fase di
allestimento degli strumenti. In questo modo prendono forma le loro session e
sviluppano temi composti da dinamiche variabili sulle quali lavorano e si
concentrano, mentre assistono alla proiezione di un film. Ed è proprio qui che
avviene il bello, perché il film diventa parte integrante della loro musica
catturando suoni e musiche elaborati all’istante. Un’esibizione in diretta
ispirandosi al film proiettato.
Tutto è nato per caso da un’idea
di Carlo Giacometti, soprannominato Mente per il suo piglio creativo e per il saper
arrangiarsi in ogni situazione e questa sua trovata lo dimostra pienamente.
“Le prime volte, quando ancora l’idea era in fase di sperimentazione,
utilizzavo spezzoni di serie televisive, frasi, parole o musiche che non
necessariamente proiettavo in quel momento; le elaboravo al pc tramite software
e le riproducevo. Poi invece ho deciso di passare alla sperimentazione del
lavoro in tempo reale, in altre parole catturando suoni o tutto quello che
poteva essere interessante mentre il film veniva proiettato. La cosa, anche se
divertente e funzionale, si è dimostrata tutt’altro che facile”.
Per poter adoperare una
pellicola, si deve conoscere la trama, andare a prendere le parti che si
addicono e che si suppone possano andare bene con la musica suonata in quel
momento e non è detto che ogni film possa andare bene. L’individuazione della
parte del film che si pensa possa essere idonea, si basa su di una scelta del
tutto personale di Carlo che procede con l’estrapolazione dei vari spezzoni, li
cattura, li processa immediatamente e li riproduce; alcune volte li elabora a
tal punto che non si riconoscono nemmeno dall’originale e vengono inseriti nel
contesto della musica diventando così parte integrante dell’esecuzione di quel
momento per creare un tappeto sonoro filtrato e deturpato nelle maniere più
allucinanti.
Tutto questo accade mediante
l’ausilio di una postazione di lavoro in continuo mutamento. Non per nulla Carlo
per il suo ruolo all’interno nella band si autodefinisce “addetto alle varie ed eventuali”, mentre gli altri preferiscono
definirlo “come un genio dei bit
applicati ai suoni”. Oltre ad un vecchio sintetizzatore Korg Ms-10 semimodulare
analogico collegato ad un delay e ad un Chorus, toglie o aggiunge strumenti
come tastiere midi collegate al pc oppure sintetizzatori per pc che lui stesso
crea, testa e sviluppa di volta in volta. Assieme a tutto questo adopera un
macchinario agli ambienti musicali, ovvero un generatore di funzioni che
possiede invece una certa familiarità con i laboratori di fisica e non a caso
Carlo sta concludendo gli studi in Fisica della Materia Condensata.
Nessuna
combinazione quindi, perché la considerevole connessione tra fisica e
strumentazione è dovuta proprio alla materia di studio che gli ha permesso di
capire come funzionano le cose, come anche il soprannome Mente, proprio come il
custode delle mappe del film 1999 Fuga da
New York, una pellicola che è nelle loro intenzioni adoperare prima o poi
per qualche loro suonata, come pure Mad Max. Perchè i film che prediligono sono
di carattere futurista, fantascientifico o apocalittico sia vecchi che nuovi. Tutti
film scelti da una lista prima di iniziare ogni volta. Una certa curiosità per
qualche esperimento con film pornografici non nascondono di averla; dovrebbero
contenere suoni interessanti da manipolare.
Scherzi a parte, o forse anche
no, il lavorare durante la proiezione di un film li ha portati ad evolversi
fino a raggiungere una situazione tale in cui ogni volta eseguono un concept
album suonato senza interruzioni di alcun tipo per tutta la serata durante
l’intera proiezione del film. Aprono e chiudono. Anche per più di due ore
filate se le cose girano per il verso giusto.
Questa è la loro peculiarità, ma
la struttura, la forza, l’anima invece?
Il ruolo forse più delicato, la
ritmica, è affidata a due rodati amici di vecchia data e compagni di
scorribande musicali oramai da svariati anni. Andrea Bonetti e Marco De
Polo, rispettivamente batteria e
basso degli Ozcine, non contano nemmeno più da quanti anni si conoscono. Assieme
in vari progetti musicali, in molti se ricorderanno in un interessante band
cittadino, e facente parte di quella schiera poco nutrita in città in quel
periodo. Si trattava dei Myrrha, un
quartetto d’impatto musicale e scenografico, protagonista di un percorso evolutivo
partito da un misto tra rock, arabo e celtico degli inizi (ben distante della
world music come qualcuno li aveva definiti), per arrivare ad un misto di New
Wave, Elettronica e Sperimentale con spettacoli live con tanto di video
proiezioni che andavano di pari passo con la musica, e gestiti dal tastierista
e programmatore Alessandro Majcan, mentre
la voce e la danza del ventre erano della bellissima Patrizia Haggiopulo.
Andrea e Marco, un’accoppiata
vincente che si capisce al volo. Chissà a quanti faranno invidia. Non hanno
bisogno di guardarsi, s’intendono e basta. Capiscono benissimo cosa l’altro sta
per fare, quando suonano. Un determinato colpo sulle pelli e i piatti della
batteria o una determinata scala sul manico o sui pick up del basso e di
conseguenza l’altro sa come comportarsi e come agire di conseguenza sul proprio
strumento.
Chiaro che l'intesa si viene a
creare solamente in determinati momenti, quando la situazione lo permette, ma è
altrettanto vero che tali situazioni possono accadere in casi in cui i
musicisti sono veri e propri professionisti. A tal riguardo Marco ribadisce: “ho provato a suonare con bravissimi
musicisti, ma non essendoci stata l’affinità, le cose non venivano come
speravamo. Mancava qualcosa. Può accadere che le cose girino benissimo anche
tra musicisti senza affinità alcuna, ma si deve trattare di professionisti,
gente che s’intende al volo”.
Il cuore in due parti: uno dal
seggiolino dietro la sua Yamaha 15000 acustica, arricchita con centralina di
suoni elettronici Yamaha DTX 500 oltre a vari pad sparsi un po’ ovunque sul
drum set in modo da ampliare la gamma di suoni, l’altro con lo scorrere delle
dita lungo il manico del basso collegato ad un amplificatore tradizionale
assieme ad una serie di effetti, più vecchi che moderni (scelta non casuale per
una questione di gusti musicali), ed un Chorus appartenuto ad Ed Wynne, storico
leader degli Ozric Tentacles; effetto non rubato ma reperito tramite una serie
di conoscenze e clienti del negozio di musica dove lavora.
Il prezioso "Chorus"di Marco |
Tutto questo però, per quanto
possa sembrare senza limiti espressivi e forse anche tecnici, può trarre in
inganno. Non è facile trovare musicisti ai quali piace suonare questo tipo di
musica ben volentieri come la suonano loro e se ne vantano con giusto orgoglio.
“Il nostro modo di fare musica non da soddisfazione ai più degli
addetti ai lavori perché solitamente l’attività media di ogni musicista è
quella di creare una band, fare qualche cover assieme a qualche pezzo inedito,
andare a suonare in giro, realizzare un demo con conseguente promozione e stare
a vedere che succede”.
Quanto appena descritto, parte
dal presupposto che tutti i brani devono essere strutturati in un determinato
modo per un preciso tipo di pubblico. Loro invece non hanno nessun’ambizione al
di fuori della loro sala prove; almeno al momento.
“Vogliamo divertirci e creare tutto in una salsa psichedelica, strana e
se accadrà qualcosa a livello promozionale sarà una bella cosa, altrimenti andrà
bene lo stesso. La nostra musica è difficile nel senso che non si tratta del
solito giro d’accordi che in tanti sanno fare. Ammettiamo anche che la nostra
tecnica è molto inferiore a quella di jazz o progressive band, che impegnandosi
solamente al 10% non ci permetterebbero di raggiungerli minimamente anche se noi
ci impegnassimo al 110%. Il nostro punto forte è la compattezza delle nostre
anime artistiche, se così possiamo chiamarle, che hanno voglia di esprimersi per
mezzo di questo tipo di musica ancora dopo cinque anni dalla nascita degli
Ozcine, senza una finalità precisa e soprattutto senza stress alcuno. Tutti noi
impegnati in questo nostro progetto, abbiamo alle spalle un passato da musicisti
con demo promozionali, esperienze con partecipazioni a concorsi, serate nei
locali o comunque in giro per farsi conoscere, periodi in studio di
registrazione magari con qualche straccio di contratto. Cose che richiedevano
impegno, precisione, metronomi con il conseguente e unico sogno-illusione come
tanti di poter apparire sugli schermi di Mtv. Una delle solite e tante storie.
La difficoltà dunque di quello che facciamo sta nel trovare il motivo e la situazione
per farlo. Quasi irripetibile e senza una finalità”.
Eppure gli Ozcine hanno una ricca
cassaforte piena della loro musica. Hanno sempre registrato tutto. Nulla hanno
lasciato che si perdesse dopo aver spento i loro amplificatori e staccato la
spina della sala prove. Da un primissimo registratore a cassette che chiamavano
Studer, ora immortalano le loro session con uno Zoom H2, registratore digitale
a memoria espandibile, poi riversano tutto sul pc, lo processano e lo ripuliscono.
Ma che senso ha tutto questo lavoro di registrazione se non si ha nessuna
finalità? Sicuramente è complice il piacere di riascoltarsi non solamente a
fine serata per provare il piacere di valutare il proprio prodotto ma anche per
poter verificare il progresso fatto nel corso del tempo. Una giusta intuizione,
messa in pratica da molti ma non da tutti, e questo se permettete è un grosso
errore. Lo stesso Frank Zappa registrava tutto ogni volta. E questo permetteva
non solamente di tirare fuori un giro di basso oppure un passaggio che non ci
si ricordava più. Grazie a questo sistema, oggidì sembra che gli eredi Zappa
siano in possesso di interminabili ore di registrazione avvenute non solamente
in fase di prove dei vari lavori ma anche nelle varie jam session che Zappa ha
tenuto con moltissimi musicisti.
Chi degli Ozcine è il curatore
delle registrazioni e custode dell’archivio sonoro, è anche chitarrista cosmico
delle sonorità spaziali e dilatate. Alessandro
Sartore, amante del Delay con un passato in studio di registrazione sia come
fonico che come musicista, al contrario di tutti gli altri suonatori delle sei
corde, non emerge mai come solista del gruppo. Per puro piacere e divertimento,
essenziali nell’ambito della Ozcine music, il suo ruolo è quello di creare il
mix sonoro fatto di tappeti di suoni sui quali si appoggia tutto il resto della
loro musica. Sembrerà paradossale, ma la sua chitarra forse esegue molte più
note basse di quante ne esegue il basso di Marco che in quel preciso istante genera
suoni e lamenti assurdi che riportano alla mente quanto potrebbe creare un synth.
Anche in questo caso, non c’è
niente di troppo complicato nella strumentazione: una chitarra Telecaster,
oppure una semi acustica Crafter SA, con le quali crea suoni elettrici in
alternanza con altri più dolci a seconda delle dinamiche dell’esecuzione che si
sviluppano in quel dato momento. L’amplificatore invece è stato proprio
ricercato per una questione di gusti personali.“Si tratta di un Sessionette degli anni ’80 a mosfet transistor,
prodotto ancora oggi e in Inghilterra costa un mucchio di soldi. Il mio
esemplare l’ho trovato usato per pura coincidenza a modico prezzo; dove me
l’hanno venduto nemmeno conoscevano la marca e le potenzialità. L'avevo scovato
dopo vent’anni di ricerca e finalmente ero riuscito ad averlo. Si tratta di una
ricerca iniziata quando ero ancora bambino e leggevo le varie riviste di
chitarra che mi passava mio fratello maggiore, chitarrista anche lui. Non
potevo trovare di meglio per la nostra musica. Le sue potenzialità si adattano
benissimo”.
Insomma gli Ozcine, una realtà
musicale del sottobosco triestino immersa nella musica svincolata da clichè,
schemi, obblighi e quanto altro si potrebbe ancora dire.
Poco di nuovo fino a qui o forse
nulla d’accordo, ma sono cosciente e sincero di aver voluto incontrare questi
quattro ragazzi per il loro estro, passione e voglia di fare musica buona.
Ammettiamo anche che le spazialità sonore che creano non sono roba per tutti e
che molto bene hanno riproposto quanto già piantato e coltivato da molti altri
prima di loro; ma ognuno di loro ha anche altri progetti del tutto diversi e se
vogliamo, molto più ambizioni rispetto agli Ozcine.
“A noi piace suonare e basta, e ci teniamo a ripeterlo. Più che fare
musica forse facciamo rumore. Siamo contenti di suonare senza nessun tipo di
vincolo. Per ognuno di noi è la situazione musicale che più si adatta alle
proprie esigenze creative. Per noi suonare come Ozcine è uno sfogo, un
eliminare le tossine accumulate durante tutta la settimana, è la situazione che
ci diverte di più di tutte quelle che abbiamo fuori di qui. Suoniamo
principalmente per noi senza il voler piacere agli altri. Se poi chi ci ascolta
rimane ben impressionato, allora sarà sicuramente dovuto al fatto che la nostra
musica ricorda quella di altri nomi già citati.
Se esistiamo ancora dopo quattro anni, anche se non abbiamo un
obbiettivo ben definito, è perché dalle nostre precedenti esperienze ne siamo
usciti maturati, siamo coscienti che musica come la nostra non essendo adatta a
tutti è difficile da portare fuori dalla sala prove, anche se ci sono svariate
opportunità di luoghi alternativi o festival come il Pietrasonica o il Land Art
Aeson. Riteniamo che la nostra musica sia ancora acerba o forse è solo una
questione di tempi. Se dovrà accadere qualcosa accadrà, ma per ora rimaniamo
qui senza scannarci in preda allo scazzo perché non è accaduta ancora nulla o
chissà che cos’altro. Come già detto, per noi questa è una sorta di terapia
d’urto contro tutto lo stress giornaliero che alcune volte sfocia in
distruzione di coni di amplificatori e lanci di vecchi e malconci bassi in
giardino a fine prove.
Abbiamo però pensato anche ad altre cose da inserire nella nostra musica come ad esempio dei pennelli sonori, una trovata assieme ad Alessadro Majcan, l’ex tastierista dei Myrrha che ora vive in Spagna. Vorremmo inserire dei sensori nei pennelli di un pittore in modo da catturare i suoni mentre dipinge sulle note della nostra musica in modo da far interagire i rumori delle sue strisciate catturandole ed elaborandole assieme alla nostra musica. Ovviamente non è una cosa facile da portare a termine; ci vorrebbe organizzazione e mezzi idonei per farlo, e se vuoi fare le cose che ti piacciono non devi seguire nessuna politica commerciale che ti impone di fare brani della durata massima di quattro minuti. Abbiamo già dato il nostro a tal riguardo e la disillusione gioca per noi un ruolo importante ora che abbiamo raggiunto un’espressione che va ben oltre i limiti facilmente imponibili e quindi siamo divenuti alternativi o forse anche asociali.
Abbiamo però pensato anche ad altre cose da inserire nella nostra musica come ad esempio dei pennelli sonori, una trovata assieme ad Alessadro Majcan, l’ex tastierista dei Myrrha che ora vive in Spagna. Vorremmo inserire dei sensori nei pennelli di un pittore in modo da catturare i suoni mentre dipinge sulle note della nostra musica in modo da far interagire i rumori delle sue strisciate catturandole ed elaborandole assieme alla nostra musica. Ovviamente non è una cosa facile da portare a termine; ci vorrebbe organizzazione e mezzi idonei per farlo, e se vuoi fare le cose che ti piacciono non devi seguire nessuna politica commerciale che ti impone di fare brani della durata massima di quattro minuti. Abbiamo già dato il nostro a tal riguardo e la disillusione gioca per noi un ruolo importante ora che abbiamo raggiunto un’espressione che va ben oltre i limiti facilmente imponibili e quindi siamo divenuti alternativi o forse anche asociali.
Forse abbiamo anche perso per un certo verso quella voglia di ricerca
di soddisfazione nell’esibirsi in pubblico e arrivati a questo punto, e facendo
questo tipo di musica, per noi vorrebbe dire denudarsi davanti agli altri”.
Ogni scelta va rispettata e per
quanto ritengo che gli Ozcine siano sprecati in sala prove, appoggio quanto
hanno detto.
Prima di sentire la loro musica,
difficilmente pensavo che avrei mai potuto rivivere determinate sensazioni che
da anni oramai tenevo nello scrigno dei ricordi. Roba che apparteneva al
passato ma non perché avessi deciso di voltare pagina o chissà per quale altro
motivo ma più semplicemente perché era una parte della mia vita che aveva fatto
il suo corso, quindi potevo solamente continuare il mio percorso evolutivo e
tenere ben presente quanti bellissimi brividi, sogni ad occhi aperti o viaggi
immaginari mi avessero fatto intraprendere alcune musiche alle quali mi ero
avvicinato come un pezzo di ferro ad una calamita. Sensazioni inspiegabili e
irripetibili che le prime volte ti sconquassano, poi ti diventano complici, poi
amiche e in fine sagge consigliere. A questo punto può capitare che queste
sensazioni rimangano nascoste anche per anni fino a riemergere senza avviso e
travolgendoti in maniera così violenta e inaspettata che ti portano a scuoterti
da solo per cercare di svegliarti anche se non stai dormendo.
Ogni musica regala sensazioni e
brividi diversi, ma quello che gli Ozcine mi hanno regalato è stato qualcosa che
va ben oltre al rivivere quello che credevo non poteva più avvenire, ma
soprattutto sono stati loro a regalarmi nuovamente quella sensazione che
solitamente solo i primi dischi che avevo ascoltato riescono a darmi ancora.
Allora, salgo nuovamente in
groppa al dromedario nero dagli occhi rossi per farmi portare ancora una volta
attraverso il deserto verso l’oasi di Ozcine.
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