martedì 14 febbraio 2012

GIORNI DI SANGUE (dicembre 2009)

di Cristiano Pellizzaro


Su di un vecchio numero di Marble Moon del 1998, appariva una recensione del primissimo concerto italiano del Blood Axis, a firma di Max Ribaric.
Questi due nomi a dieci anni di distanza hanno solidificato il loro rapporto anche se la lontananza tra Europa e America ha permesso loro di vedersi ben poche volte in entrambi i continenti.
Ma il legame dura, prosegue, si consolida ogni giorno sempre più; prende forma, diventa un embrione, un germoglio che sboccia una decade più tardi con la pubblicazione di Day of Blood.
La mia amicizia con Max risale dai tempi della scuola, ovvero i primi anni Novanta. Poi le strade si divisero e si incrociarono nuovamente verso la fine dello stesso decennio. Nel frattempo le nostre passioni erano maturate, si erano ampliate e avevano intrapreso un percorso ben preciso e minuzioso per quanto riguarda Max, e forse un po’ troppo ampio e curioso per quanto riguarda il sottoscritto.
Nell’estate del 1999, durante un corso di formazione, incontro Max dopo molti anni. Ci eravamo intravisti un po’ di tempo prima al Teatro Miela in occasione di alcuni concerti aventi per protagonisti Tony Wakeford, Kirlian Camera e Theatrum Chemicum. L’incontro a questi eventi cittadini, ha dato il via a delle chiacchierate inerenti i nostri interessi musicali, tra i quali spiccava una comune simpatia per gli sloveni Laibach, ed invidiavo tremendamente Max per averli visti quattro anni prima nella loro unica esibizione triestina.
Io gli raccontavo dei Doors, dei Gong di Daevid Allen, degli Ozric Tentacles e degli allora appena sciolti C.S.I., mentre lui mi parlava dei Death in june, di Der Blutharsch, di Boyd Rice e del progetto Blood Axis.
Lo scambio di materiale musicale e l’accompagnarsi a diversi concerti nel corso degli anni si è fatto tra noi sempre più fluente e in continuo aggiornamento.
La voglia di redigere una monografia sul progetto statunitense Blood Axis di Moynihan, a me era cosa nota già da un po’ di tempo, sapevo che il lavoro era in continuo svolgimento e che la fase di ultimazione era oramai giunta, in attesa del “dove e da chi farla stampare” per un’edizione veramente speciale. Dettaglio non da poco.
Ciò che non sapevo ancora però, era la cosa forse più interessante di tutto questo, ovvero che Max e la sua ragazza erano stati nel Vermont, a casa di Michael e della sua compagna Annabel, oltre che per un viaggio di piacere in visita alla coppia di amici, anche per la correzione definitiva di questo lavoro atteso ben quattro anni, e conoscendo Max, indubbiamente sarebbe stato preciso, approfondito e dettagliato.
A dieci anni della pubblicazione giornalistica della prima apparizione italiana del Blood Axis, nel giugno del 2008 il mondo ha la possibilità di leggere uno dei documenti più sensazionali a mio avviso, per quanto riguarda l’ambiente underground, non commerciale o di nicchia... chiamatelo come volete.
Tiratura limitata in cinquecento copie di cui il primo centinaio riportano stampato in rilievo sul retro della copertina il simbolo dell’Occidental Congress, ovvero la spada ideata per marchiare tutto quello che l’O.C. crea; io ho la fortuna di essere stato uno dei primissimi acquirenti e di possedere dunque una di queste copie con dedica, oltre che aver recensito per primo il libro sulla mia rubrica.
La voce dell’imminente uscita di questo volume era attesa nell’ambito della scena neo-folk e industrial con molta impazienza, e in fase di ultimazione di stampa, numerose copie erano già state ordinate da diverse zone del Bel Paese, per non parlare di paesi come Germania, Austria, Svizzera, Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Croazia, Belgio, Danimarca, Francia, Svezia, Russia nonché Stati Uniti.
Da noi in Italia, chiaramente i contatti con l’autore erano già stati stabiliti da parecchie persone.
Io rappresento la ristretta cerchia di “mosche bianche”, persone estranee all’ambiente in senso stretto, che hanno dimostrato interesse al progetto, quindi la mia copia per timore dell’autore, sembrava potesse servire solamente per fare spessore sotto la gamba di un tavolo traballante e comperata dunque per pura gentilezza nei confronti di un amico.
Pretesi di pagare l’opera a prezzo pieno, in quanto autoprodotta con nessun interesse di guadagno se non quello della soddisfazione di veder realizzato un progetto tanto desiderato.
In alcuni casi, durante i nostri incontri, Max scherzava sul fatto che io il libro non lo avrei mai letto, mentre lo rassicuravo dicendogli che ci sarebbe voluto un po’ di tempo ma che alla fine avrei scorso attentamente riga per riga, pagina per pagina fino all’annuncio ufficiale di ben un anno dopo: “ho finito di leggere il tuo Day of Blood. Quando ci vediamo per discuterne assieme?”, in risposta ricevetti un compiaciuto “…quando vuoi, non vedo l’ora. Grazie per esserti immolato per la causa!”
Ben volentieri mi immolai, se così vogliamo proprio adoperar questo termine; e la sorpresa fu davvero notevole.
Il libro a primo impatto si presenta come una normale biografia, e ciò era tutto nella norma.
Un po’ stopposo l’inizio probabilmente, con i consueti dati anagrafici, vita adolescenziale e informazioni che in ogni biografia di rispetto non mancano mai, ma con lo scorrere delle pagine, la faccenda si fa davvero interessante.
L’impostazione e il modo in cui è stato scritto il libro, argomenti dei quali ritornerò a parlarne più tardi, risaltano e chiariscono la particolarità del personaggio chiamato Michael Jenkins Moynihan, e tutto ciò che ha creato nella sua vita e soprattutto di come lo ha fatto.
Se lo guardiamo con occhi qualsiasi, il suo stile di vita sembrerebbe uguale ad una qualunque rock star americana; potrei paragonare questa biografia ad una di Jimi Hendrix che ho letto alcuni anni fa, ma in tal caso rimarremmo solamente a livello di vita vissuta. Se andassimo avanti con il paragone, riducendo all’osso l’argomento, beh, giungeremmo alla solita vita di moltissimi ragazzi che vogliono intraprendere la loro strada contro la volontà dei genitori dandogli mille pensieri per chissà quali e quante discutibili esperienze che intraprenderanno lontano dall’ala protettrice della famiglia.
Forse unico, ma vorrei comunque definirlo davvero raro, Michael Moynihan, è uno di quei personaggi che dopo la lettura di una biografia come questa vorresti fargli un numero non ben definito ma enorme di domande per sapere che cosa lo ha spinto ad intraprendere tali strade così diverse tra loro ma parte integrante dello sviluppo di una persona che in un caso come questo non si può definire percorso artistico ma personale!
Nella prefazione firmata da Massimiliano Rossignani, Moynihan viene definito nel modo più corretto che si possa adoperare per descriverlo: “Michael Moynihan è sempre stato un cercatore: prima ha assassinato l’industrial di Coup de Grâce, e poi ha allontanato l’apocalisse di the Gospel of Inhumanity per convergere all’indirizzo del folk tradizionale. Imprimendo il suo genio, ha animato di nuova energia antiche ballate dal sapore immortale”.
Nulla di meglio può descrivere in due parole questo personaggio e il suo cammino evolutivo.
Editore/giornalista con la sua fanzine Coup de Grâce nella prima metà degli anni Ottanta, con lo stesso nome svilupperà il suo progetto per la produzione di video cortometraggi, e sarà performer-musicista industrial in Europa e Giappone sotto l’ala protettrice di Boyd Rice, con il quale collaborerà dando inizio proprio da qui all’attività musicale vera e propria se così possiamo chiamarla fino a svilupparsi in quel progetto, Blood Axis, che potrà mutare in Witch-Hunt a seconda dell’evento al quale si deve prendere parte.
Cronista per la rivista newyorkese Seconds Magazine, per la quale ha pubblicato delle interviste integrali senza ritocchi eseguite personalmente a Charles Manson e Anton LaVey, l’attività editoriale più nota a tutti è la collaborazione con il giornalista Didrik Søderlind per la realizzazione del volume Lords of Chaos -The Bloody Rise of the Satanic Metal Underground, con materiale raccolto dopo anni di lavoro mettendo assieme interviste, testimonianze e resoconti di avvenimenti premiati con il Firecrackers Award per il miglior libro a carattere musicale del 1998.
Ciò che mi incuriosisce è l’evoluzione artistica e interiore del personaggio Moynihan, analizzato e sezionato da Max Ribaric in ogni sua possibile parte, messo a nudo il suo carattere evolutivo, il percorso intrapreso per ogni elemento, personalità, interesse che sia passato sulla sua strada, dedicandone delle parti apposite.
Il nostro protagonista ci illumina su come si può intraprendere una strada artistica che non segua i soliti schemi della scena commerciale dei mega store ai quali siamo abituati.
Per essere più chiaro, e nessuno mi voglia del male se sarò banale e semplice ma lo faccio per spiegarmi brevemente e in modo diretto, vi farò un sunto davvero veloce e portato all’osso: per quale motivo bisogna intraprendere un tour e fare concerti esclusivamente per la presentazione di un disco?
Blót - Sacrifice in Sweden ne è il chiaro esempio, registrato dal vivo durante la serata dei dieci anni di attività della Cold Meat Industry può essere considerato a tutti gli effetti un disco live totalmente atipico (non per nulla Max nel libro racconta dello scetticismo che molte persone nutrivano nei confronti di una registrazione dove sembra non esserci l’effettiva presenza di un pubblico); che scopo ha mantenere attivo il marchio di fabbrica se non produce lavori inediti, se si presenta con testi di brani non suoi in sporadici concerti? Proprio questo è il bello, ovvero non avere vincoli, effettuare apparizioni per il puro gusto di farle e realizzarle eseguendole con brani della tradizione popolare o mitologica dell’Europa del Nord oggetto di studio di Moynihan, suonatore di bodhrán accompagnato dai suoi fidi collaboratori, nomi quali Markus Wolff, Robert Ferbrache, Jól Arthur Loose, Aaron Garland, Scott Broderick nonché la sua amata Annabel Lee.
Si può partecipare ad un evento come la creazione di una raccolta da pubblicare in occasione di una commemorazione o di un anniversario, assieme ad altri nomi della medesima scena, registrando un brano mai eseguito e magari apparendo con un nome diverso da quello solito quando i componenti del gruppo sono sempre gli stessi? Si può sì, eccome… magari lo si potesse fare pure in altri contesti… altro che vincoli contrattuali, di immagine e di mercato.
C’è bisogno di curare l’estetica e la forma con la quale si darà in pasto al pubblico i propri lavori fornendo confezioni ben curate in tiratura limitata con particolari contenuti come foglie di alberi provenienti dallo stesso luogo dove è stato registrato il live? Lo stesso Max alcuni anni fa mostrandomi la confezione di Blót mi disse quanto raccontatogli da Moynihan, ovvero che essendo materiale per pochi, era bene realizzare delle produzioni curate minuziosamente.
Quante cose si potrebbero ancora dire, ma vale la pena leggere il testo in prima persona per capire ciò che ho appena detto, per percepire l’essenza della ricerca effettuata e della maturazione artistica svoltasi e che si sta svolgendo, oltre che per scoprire un ambiente che Day of Blood mette per bene in luce sotto i riflettori; un ambiente dove le band non vengono necessariamente sempre chiamate con questo termine ma con l’appellativo di “progetto”, dove l’estetica e la presenza scenica hanno un loro perché e vanno curate in quanto giocano un ruolo fondamentale che va oltre a quanto si possa immaginare per un palco fatto semplicemente di luci e colori.
Un palco sul quale non si consuma la serata e basta, ma sul quale avviene un rito, una rappresentazione popolare riscoperta, inscenata o del tutto inedita, e vestita in modo tale non da essere una moda e basta ma per fare da collante tra spettacolo, pubblico e artisti.
Durante la lettura si trovano moltissimi rami che dal filo conduttore portano il lettore in momentanei discorsi paralleli e necessari per capire il significato di ciò che si sta trattando, ma saggiamente ridotti all’essenziale dall’autore in modo da rendere il testo esaustivo per chi legge e allo stesso tempo stuzzicare la voglia di approfondimento con i riferimenti giusti per poter trovare le informazioni necessarie al fine di completare le proprie ricerche.
Il testo scritto al limite dello stile saggistico, e trattato in modo da poter essere letto e capito da tutti, oltre a essere corredato con delle note esaustive poste dove l’autore lo riteneva necessario, si conclude con un’esauriente intervista a Moynihan ad opera di Marco Deplano, con la quale si tratta l’argomento “sviluppo” del progetto Blood Axis e la rotta che potrebbe intraprendere prossimamente; posta a termine del libro, non poteva trovare inserimento migliore. Il protagonista che tira le somme sul suo operato e svela i suoi progetti e le sue influenze, dopo che per tutta la lettura lo sguardo si è riposato adagiandosi su di innumerevoli fotografie, volantini, poster e immagini rare tratte dall’album personale di famiglia.
Inutile dire che è presente la discografia completa con Lp, cassette, dvd, live e bootlegs; immancabile su qualsiasi altra biografia, figuriamoci su di questa.
Nella mia copia, all’interno della copertina, ho inserito la fotocopia della recensione di Max del concerto di Roma del 1998; la conservo ancora e lui lo sa; sa che conservo tutto e non per nulla una volta mi ha definito un inguaribile archivista.

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