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Tutti noi inseguiamo un sogno, io stesso ne ho uno che rincorro ogni giorno, ma c’è qualcuno che pur rimanendo nel nostro piccolo, è diventato un grande nel suo ambito e ha dato vita a qualcosa per cui tutta la vita ha continuato a percorrere la stessa strada perfezionandosi di giorno in giorno.
Maurizio Giugovaz è il curatore
della Fiera del Disco usato e da Collezione che per due volte ogni anno a
Trieste, nell’ambito delle iniziative dell’Associazione Musica Libera, da la
possibilità agli appassionati e non solo, di ampliare la loro conoscenza
mediante incontri e scambi di opinioni, oltre che ricercare e poter trovare un
disco al quale si tiene particolarmente.
Seduti al tavolo di un bar,
all’inizio della serata di sabato 1 ottobre 2011, iniziamo a chiacchierare.
C.P.: Sei pronto?
M.G.: Assolutamente. Quando vuoi
si parte!
C.P.: Le prime domande saranno di quelle brevi dalla risposta veloce.
M.G.: Va bene.
C.P.: Il primo disco o i primi dischi che hai comprato e l’anno. Se non
ti ricordi di preciso data e titoli, puoi anche andare a memoria.
M.G.: Ricordo due 45 giri: Future Woman dei Rockets, e Radioactivity dei Kraftwerk, molto
vicino al genere da me tutt’ora seguito. Avevo 12 anni ed era il 1976.
Sicuramente li ho comprati in Viale XX settembre o da Raifon Music o da
CentroDisco.
Dei Rockets ricordo pure il
concerto di alcuni anni dopo a Borgogrotta Gigante.
C.P.: A detta di chi c’era, lo
spettacolo è iniziato al buio per evitare di far vedere i musicisti, ma il
chiaro di luna piena illuminava molto bene e la luce si rifletteva sulla
pelle argentata dei musicisti che quindi
si vedevano perfettamente. Qualcuno ricorda anche che uno dei musicisti, che salendo
le scale del palco deve essere inciampato e cadendo si è sentito un gran rumore
di chitarra.
Proseguiamo con il nostro lavoro ora. I dati: quanto materiale pensi di
possedere complessivamente?
M.G.: La mia collezione oggi si è
ridotta a 900 Lp e 4500 cd. Gli Lp sono presenti in minor numero in quanto ho effettuato
una scrematura. Poi ci sono le varie riviste e fanzine che possiedo; di quelle
ne ho a quintali. Inquantificabili! Per non parlare dei varii dvd,
pubblicazioni monografiche e generali, libri su singoli artisti ed
enciclopedie, guide al collezionismo, in italiano ed inglese, da agevoli
manuali "quasi tascabili" a ponderosi volumi da trauma cranico se
gettati in testa a qualcuno...hai voglia…!
C.P.: La tua più grossa soddisfazione intesa come acquisto di un Lp o
di un Cd; il disco che hai voluto e che hai cercato senza mollare un attimo.
M.G.: Si tratta di un disco
pubblicato dalla Liberty Label; un lavoro degli High Tide del 1969, dal titolo Sea Shanties. L’ho trovato non tanti
anni fa e ti dirò di più, ne ho prese due copie; una di edizione americana e un'altra
di edizione inglese.
Gli High Tide, sono un gruppo
conosciuto non da molti, ma comprende di tutto; dal rock al folk. Lo cercavo da
molto tempo e soprattutto lo ricercavo in ottime condizione. Poi tramite un amico di Trieste ho scovato una
copia e l’altra ad una fiera del disco. Nel giro di pochi mesi ne ho trovati addirittura
due. Il tutto non più di 4 anni fa. Non è che sia introvabile, ma la ricerca si
era fatta difficile perché lo cercavo intonso. Ne ho prese due copie perché l’edizione
inglese ha la copertina confezionata con carta rugosa e facilmente
deteriorabile, quella americana invece è realizzata in carta patinata e si
conserva molto meglio.
Lo considero uno dei 5 dischi da
isola deserta, se non addirittura il primo.
C.P.: Ok, con la domanda successiva ti puoi lasciare andare.
La tua specializzasione è il Progressive Rock.
M.G.: Il Progressive Rock è un genere
per il quale la gente ancora oggi si chiede cosa sia effettivamente. E’ un
genere apparso alla fine degli anni 60 che fondeva le sue radici nella musica Classica,
nel Folk, nel Blues e altri generi già esistenti, ma cambiò le cose del tutto
con il suo avvento. All’epoca però era avanguardia e precisamente non si può
definire quale sia il primo disco progressive in assoluto. Tanti citano i King Crimson
come pionieri del genere, anche se già i Beatles avevo fatto qualcosa che
volendo si potrebbe definire Progressive. Lo stesso vale anche per i nomi delle
band che vengono inserite sotto l’etichetta del genere Progressive. Ad esempio Frank
Zappa; per certe cose era pure lui Progressive, ma era anche Rock e Jazz. Lui è
difficile da etichettare. Il Progressive rock è un genere vasto che sconfina in
altri generi. Per quanto mi riguarda i migliori di questo ambito, il primo
gruppo che ho amato e che si possono
ricondurre nella corrente sinfonico-classica sono stati i Genesis del periodo
Peter Gabriel. Quindi fino al 1975.
(Da questo momento in poi Maurizio sarà come un fiume in piena, e sarà
un piacere ascoltarlo!)
C.P.: Come mai questo genere così particolare?
M.G.: Premetto che non ho
fratelli maggiori che mi hanno iniziato alla musica e nemmeno mio padre può
centrare perché a lui piace suonare la fisarmonica.
Ovviamente i primi dischi che ho
ascoltato non erano Progressive. Dovevo ancora centrale il bersaglio. Quanto inizi
ad ascoltare tanta musica, diventi selettivo e inizi a fare una scrematura di
quello che ti interessa veramente. Posso dire che tutto è iniziato nel 1977,
quando ero un ragazzino che non era stato toccato dal Punk. Ricordo i vicini di
casa più grandi di me di tre o quattro anni, che organizzarono una festa a casa
loro. La disco music stava appena nascendo ed era il periodo in cui ancora si
organizzavano le feste a casa per ascoltare musica rock sul giradischi. Si
invitavano a casa gli amici per ascoltare l’ultimo successo o novità che si
erano comperati. Si toglievano i cellophanne dalle copertine…
I due ragazzi miei vicini di casa,
fratello e sorella, al termine della serata mi consegnarono un pacco di dischi
tra i quali c’erano Pink Floyd (Meddle e Ummagumma),
Genesis (Seconds Out Live appena
uscito) e Tangerine Dream. Roba che per me al momento era inusitata. Con quella
roba mi avevano shoccato. Fino al giorno prima ascoltavo pop e tutto quello che
ascoltavano i miei amici e coetanei. Quindi non è che sono stato “illuminato
sulla via di Damasco”. Erano cose difficili da capire e ascoltare. E’ stata una
cosa a scoppio ritardato. Quel pacchetto di dischi però mi ha forgiato. In poco
tempo ho iniziato a mettere da parte le sonorità pop per passare a quelle più
complesse. Iniziavo a fare da solo le traduzioni dei testi con il vocabolario.
All’epoca non si trovavano dentro i dischi le traduzioni delle canzoni. E poi
tradurre i testi dei Genesis scritti da Gabriel, con tripli sensi, così criptici
che nemmeno gli inglesi riuscivano a capire. Non era facile tradurli.
Insomma sto pacchetto di dischi:
la sera della festa, quando tutti vanno via, la ragazza mi trova ad origliare e
mi passa la musica della loro serata.
Al primo momento mi faceva strano
ma pian piano iniziai ad appassionarmi e ad effettuare una ricerca. Cosa
difficile all’epoca in quanto libri, enciclopedie e soprattutto internet non
esistevano.
In questo modo è nata anche la
mia passione musicale dal punto di vista enciclopedico, quindi fare ordine
nella discografia, studiare le formazioni delle band e vivere la musica anche
dal punto di vista del cambio della line-up cercando di capire il motivo per il
quale un musicista decideva di abbandonare la band, e cercare di capire i testi
e i loro significati. Non era facile reperire quelle informazioni. A tal
proposito ricordo che in quegli anni era molto conosciuta una rivista italiana
che si chiamava Ciao2001.
Ricordo anche che per la festa di
compleanno dei 15 anni, ho ricevuto in regalo dagli amici L’Enciclopedia del Rock, edizione italiana dell’originale The Illustarated New Musical Express
Encyclopedia of Rock.
L’ho divorata in brevissimo tempo. Era la traduzione italiana di qualcosa uscito alcuni anni prima. Se non ricordo male, alla fine, c’era anche una pagina dedicata alle rock band italiane che per noi al momento non esistevano; dovevamo iniziare ad ascoltare ancora quelle americane. I nomi del Banco o della Pfm li avevo già sentiti sì, ma eravamo nel 1979 quindi il Progressive, soprattutto quello italiano, erano un articolo mortis. In quel periodo lì le nostre band facevano cose per le quali si erano dovute adeguare alle esigenze di mercato. La discografia aveva foraggiato e sfruttato le band fino a che era il momento giusto. Poi le ha abbandonate.
L’ho divorata in brevissimo tempo. Era la traduzione italiana di qualcosa uscito alcuni anni prima. Se non ricordo male, alla fine, c’era anche una pagina dedicata alle rock band italiane che per noi al momento non esistevano; dovevamo iniziare ad ascoltare ancora quelle americane. I nomi del Banco o della Pfm li avevo già sentiti sì, ma eravamo nel 1979 quindi il Progressive, soprattutto quello italiano, erano un articolo mortis. In quel periodo lì le nostre band facevano cose per le quali si erano dovute adeguare alle esigenze di mercato. La discografia aveva foraggiato e sfruttato le band fino a che era il momento giusto. Poi le ha abbandonate.
C.P.: Passiamo ad un argomento più recente; La Fiera del Disco. Com’è nata
l’idea di organizzarla?
M.G.: Cominciamo dall’inizio
allora. Per molto tempo ho frequentato varie fiere del disco come acquirente
sia in Italia che all’estero, in Europa, spendendo un bel po’ di soldi. Poi ho
iniziato a fare l’espositore alle varie kermesse alle quali avevo la
possibilità di partecipare. All’ultima edizione della fiera di Trieste svoltasi
alla Stazione Marittima, non ancora organizzata da noi e di cui non ricordo
l’anno in cui si è svolta, alla fine della giornata si avvicina al mio banco una
persona che non conoscevo e che non conosceva nulla di Progressive. Questa
persona non era a digiuno perché partiva dal basso ma perchè le sue basi musicali
erano Luciano Berio, Stockhausen, John Cage e Zappa. Voleva quindi conoscere
qualcos’altro, approfondire le proprie conoscenze e capire chi e cosa fossero gruppi
come i Genesis e i Van Der Graaf Generator. Non era mia intenzione spennare quel
tale come fanno certi espositori al loro banchetto vantandosi della loro merce.
Mi chiede dunque un consiglio su qualcosa di esposto sul mio banco, io gli
parlo di una decina di titoli e lui li comprati tutti senza esitare.
Quella persona era Davide Casali,
maestro in clarinetto, direttore d’orchestra e ora presidente dell’Associazione
Musica Libera.
Mi faceva strano che si fosse
interessato a quel genere in quanto lui arrivava da una formazione classica,
quindi dal top della musica e faceva il percorso inverso che fanno gli altri.
Solitamente uno parte dalla musica pop e passa poi verso generi e ambiti più
ricercati.
Dopo quell’incontro durante il
quale ci siamo scambiati i numeri di telefono, mi contatta per organizzare la
fiera nell’ambito degli eventi di Musica libera. Non era ancora stato
realizzato ancora alcun concerto, ma da lì a poco ci sarebbe stato il primo di
una lunga serie e fu quello delle Orme in Piazza Unità. Era il luglio del 2004.
Le prime edizioni della Fiera del
Disco da noi organizzate si svolsero alle Torri d’Europa, al piano ristoro con
un buon successo di pubblico. Forse troppo disertate dei collezionisti, perché
chi cerca un disco raro evita la fiera presa d’assalto delle masse per evitare
di doversi trovare davanti al banchetto fianco a fianco con uno con il cane a passeggio che quel giorno
non sa cosa fare. A Tal proposito ti dirò che in Inghilterra esiste una formula
di pre-admission, ovvero paghi un po’ di più ed entri alla fiera prima del
pubblico generico così hai più possibilità di effettuare una determinata ricerca
con tutta calma. Ovviamente questa è un’iniziativa che si rivolge
esclusivamente ai ricercatori. Cosa che vorremmo fare anche noi qui a Trieste.
Il passo successivo è il 23
aprile del 2006, in
abbinamento con il concerto del Balletto di Bronzo, la prima Fiera del Disco si
svolge a Chiarbola.
Diciamo quindi che da
quell’incontro tra cliente-acquirente si sono incontrate due persone giuste nel
momento giusto. Davide, come già detto è Presidente dell’Associazione Musica
libera e per quanto riguarda la Fiera del Disco cura gli
aspetti amministrativi, contrattuali e manageriali; io sono il curatore e mi
occupo degli aspetti tecnici, quindi contatti con gli espositori, reperibilità
dei banchi da esposizione, disposizione degli espositori e quant’altro concerne
la qualità logistica e di svolgimento della fiera in generale.
Due mentalità: quelle
imprenditoriale di Davide e quella mia “fieristica” maturata negli anni prima durante
i quali avevo comperato e poi venduto. Senza parlare di tutti i contatti e
canali di cui ero in possesso oltre alla conoscenza del mondo del
collezionismo.
C.P.: Cosa significa organizzare una fiera del disco?
M.G.: E’ una cosa per nulla
facile. Considera che abbiamo circa 70 espositori non soltanto italiani, che
tra l’altro sono molto validi, ma anche sloveni, croati e ungheresi. Di qualità
sono quelli austriaci e tedeschi che sono lo zoccolo duro e fanno la differenza
alla nostra fiera che non è azzardato definire internazionale e giunta alla
decima edizione. E gli espositori stranieri stanno aumentando. Già così con
questi dati per quanto riguarda l’organizzazione dell’evento ti lascio
intendere cosa voglia dire “…organizzare una fiera del disco”.
Poi c’è la promozione, quindi
poster da stampare e da distribuire tra Trieste, Udine e il resto della Regione.
Da non dimenticare le tasse per affiggerli.
Ricordo ancora la promozione che
avevo fatto per la nostra prima fiera; alcune settimane prima ero andato a
Milano dove si teneva la consueta manifestazione, solamente per distribuire
volantini e convincere gli espositori e venire da noi a Trieste. Massacrante!
Tutto fatto in giornata. Tra il viaggio e il raggiungimento del posto della
fiera, tra gli espositori ci sono rimasto in tutto soltanto un paio d’ore.
La Fiera del Disco comunque è
una compravendita-scambio di qualsiasi genere musicale audio visivo. La gente
non viene solamente per cercare il pezzo raro, ma anche per vendere qualcosa
che vuole eliminare o anche per ricercare un cd pubblicato tre mesi prima e per
trovarlo quindi a metà prezzo. Poi ovviamente ci sono quelli che vogliono avere
un pezzo solamente per il gusto di averlo senza capirne nulla. Ma questo accade
anche nella filatelia o nella numismatica.
C.P.: Il materiale, l’informazione e l’aggiornamento per portare avanti
la tua passione…
M.G.: Sono iscritto alle mailing list
di mezzo mondo, vengo contattato da un numero imprecisato di persone che
chiedono informazioni per poter esporre. Per non parlare delle mail inerenti agli
eventi progressivi e delle novità discografiche. Non riesco stare dietro a
tutto purtroppo.
Tanti mi contattano solamente per
chiedere informazioni per sapere a chi rivolgersi per avere una valutazione del
materiale in loro possesso. Questa gente però si presenta anche personalmente
alla fiera, e qui si va a toccare un tasto dolente perchè una volta le persone
chiedevano informazioni sul valore del materiale che avevano a disposizione e
facilmente potevano essere gabbati dall’ipotetico acquirente collezionista o
conoscitore. Oggi invece, con le riviste specializzate e soprattutto internet,
la gente segue quanto pubblicato senza tenere conto dei parametri di valutazione
che vengono considerati e resi noti con delle sigle apposite che definiscono il
valore sulla base dello stato del disco così come te lo ritrovi in mano in quel
momento. I parametri potrebbero essere “mai ascoltato”, “ancora sigillato”,
completo di fascicolo interno”, o ancora “perfetto” (copertina non sgualcita,
senza scritte a penna), tanto per citare alcuni esempi. Quindi chi possiede e
vorrebbe avere una valutazione, non tiene conto di questi fattori ed è convinto
di avere in mano una fortuna che però in molti casi è stata deturpata.
C.P.: Un obbiettivo che vorresti raggiungere con la fiera?
M.G.: Ovviamente aumentare il
numero di espositori e di pubblico.
Ti faccio un esempio: la più
grossa fiera del disco al mondo si tiene a Utrecht in Olanda. Dura tre giorni,
ci sono concerti e 700 espositori. La seconda al mondo invece si tiene a Milano
e si chiama Vinylmania. Nelle ultime edizioni gli espositori giapponesi e
americani l’hanno disertata, quindi significa che sta un po’ perdendo, ma a
parte questo, l’ho tirata in ballo perché mi piacerebbe avere degli espositori come
quelli citati da altri continenti, ma non è facile. Uno che fa moltissimi
chilometri deve avere un riscontro. E al momento non è facile.
Altra cosa che avevo pensato di
fare, sarebbe una mostra basata su di una collezione di una band o di un
musicista. Quindi una cosa a tema dove la gente non solamente compra ma anche
ammira soltanto qualcosa che non è in vendita. Quindi una mostra.
Altra cosa che mi piacerebbe
poter realizzare sarebbe quella di portare a Trieste espositori specializzati
esclusivamente in Jazz. Quelli però sono una “classe” difficile da convincere a
partecipare a questi eventi. Eppure la richiesta da parte del pubblico c’è.
Cose interessanti e altri
aneddoti, Maurizio ne avrebbe tanti da raccontare; come del periodo passato a
fare lo speaker a Radio Fragola dal 1998 al 2003 assieme all’amico Mr Frank. I
due curavano una trasmissione dal nome Babylon
Train dedicata al Progressive e all’Hard Rock. Oppure di quella volta che i
due hanno vissuto assieme in prima linea il Monsters of Rock nel 1992 e proprio
durante una delle giornate hanno incontrato un altro amico triestino che si
trovava alla manifestazione per lo smontaggio e l’assistenza del palco. Quest’ultimo
regalò agli amici due braccialetti per poter assistere ai concerti direttamente
sotto il palco nel corridoio di sicurezza oltre le transenne. Eh sì, anche
l’Hard Rock è una gran passione per Maurizio, ma questa è un’altra storia.
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