ZAGABRIA - Ho la testa pesante, la sento leggermente gonfia. Mi
fischiano le orecchie. Eppure il volume non era esagerato ed i suoni erano
perfetti.
Non c'è stato niente che potesse disturbare dal punto di vista
dell'acustica, anzi tutto è stato perfetto.
Probabilmente sarà la stanchezza del viaggio a darmi questa
sensazione. Rientrare a notte fonda, aver chiuso gli occhi solo a momenti,
certamente non ha aiutato.
Il leggero vociare di chi stava seduto davanti mi arrivava ai sedili
posteriori dove qualcuno, di tanto in tanto, sospirava o sbuffava nel sonno.
Erano anni che non facevo una trasferta così per un concerto: una
piccola combriccola andata a divertirsi in terra straniera, unendo l’utile al
dilettevole, fondendo una piccola gita in una capitale europea ad un live
musicale.
Solo qualche ora fa, fuori dall’Arena, fiumi di persone stavano
confluendo da diverse località per assistere al concerto. Potrà sembrare
impossibile, quasi come un segnale di buon auspicio, prima di entrare, da un
autobus della linea cittadina, vediamo scendere lo stesso personaggio che
avevamo incrociato in centro a Zagabria un paio di ore prima, nei pressi di
Piazza Jelacica. Dall’abbigliamento indossato avevamo capito subito che le
nostre destinazioni per la serata sarebbero state le stesse.
All’ingresso rimango sorpreso dal sistema elettronico dei tornelli,
non tanto per la convalida del biglietto, che oramai ho già sperimentato in
altre situazioni, ma dal display impostato con l’immagine dell’evento della
serata.
Una volta dentro la tappa obbligata è il consueto banchetto del
merchandising ufficiale, con la solita offerta di articoli oramai a prezzi da
capogiro, allo stesso livello di un biglietto d’ingresso alla serata. La buona
sorte però, vuole che al bar ci sia qualcosa di molto più interessante.
In queste occasioni i rincari sono notevoli, nelle zone ristoro non si
scherza ed alla fine una serata potrebbe avere lo stesso costo di un’ora con
una escort, che poi si complimenta con te per la prestazione offerta.
La sorpresa sta nei bicchieri di plastica forniti con le bibite.
Contenitori per i quali paghi la cauzione e che non sei tenuto a restituire.
Nulla di strano se non fosse che i bicchieri sono serigrafati con i motivi del
tour della band, identica sorpresa avuta a Monaco nel 2013, sempre per i Depeche Mode e mai più vista in altre
circostanze.
Ed anche questa volta, a dieci anni di distanza, i modelli sono due.
Inutile spiegare il motivo per cui la corsa al banco delle bibite è stata
immediata, non appena abbiamo scoperto la sorpresa.
L’entrata nel salone dell’arena non ci regala nulla di nuovo, ma il
colpo d'occhio e l’atmosfera hanno sempre un certo fascino.
Il brusio, il mare di persone disposte in ogni dove, quella presenza
di aria viziata che si accompagna alle luci bianche dalla luminosità poco più
che crepuscolare e artificiale, mi rimandano con la memoria a qualche film di
cui ricordo ben poco, mentre l’impianto audio trasmette dell’aggressiva musica
Techno, decisamente fuori luogo.
La struttura è piena in ogni dove. L’ultimo di noi che ha scelto di
aggregarsi è riuscito, un paio di mesi fa, a trovare un biglietto per puro
caso.
Noi altri siamo ai nostri posti quasi frontali al palco, sulla curva,
visuale perfetta, smarcata da angolazioni fastidiose, e tra poco comincerà la
festa tanto attesa.
Memento Mori è veramente un
bel disco e non ha tardato ad entrare nei nostri cuori. Aldilà della sua
attesa, è un disco che piace e sorprende per essere un’ulteriore conferma della
band inglese.
Ma quello che tristemente ci affascina di più, penso sia la
circostanza della scomparsa di Andy
Fletcher, avvenuta nel maggio del 2022.
A partire dal titolo, Memento
Mori e dalla copertina in bianco e nero ritraente due funebri omaggi
floreali, creati per sembrare due bianche coppie di ali d’angelo, questo disco
ha chiaramente il sapore di un omaggio, di un saluto, qualcosa di dovuto nei
confronti di chi, per tanti anni, è stato nel bene e nel male un indispensabile
compagno di viaggio.
Nulla è lasciato al caso in MM,
piccola cripta in cui le voci sono trattate con delicatezza e le musiche ci
ricordano il percorso sino a qui svolto dai nostri paladini.
Un viaggio emotivo in cui non mancano riferimenti e richiami ad altri
lidi, un'avventura in cui si incontrano fredde sonorità robotiche della scuola
tedesca, secondo il vangelo dei pioneristici Kraftwerk, fino a far riemergere dalla memoria le bellissime favole
musicali Trip Hop raccontateci dei Massive
Attack.
Ascoltare MM è come
passeggiare in un bellissimo prato pieno di fiori colorati, tutti da ammirare,
tutti da raccogliere, nessuno escluso.
Il momento di vedere nuovamente i
Depeche
Mode all’opera è arrivato, le luci in sala si sono spente. Il pubblico li
acclama. A lato del palco, una porta si apre per alcune volte sui corridoi
illuminati del backstage. Si vedono delle sagome entrare e prendere posto a
lato del palco, pronti a salire quei pochi gradini che li separano dallo stage.
Impeccabili negli abiti di scena, eleganti, leggermente truccati in
volto con un tocco di mascara sugli occhi, loro, Martin Gore e Dave Gahan,
oramai soli in un duo, si accompagnano anche questa volta con l'indispensabile Peter Gordeno e l'insostituibile Christian Eigner.
Una volta saliti, alle loro spalle, un megaschermo con un'imponente M
al centro a ricordare il titolo del disco.
Il saluto al pubblico con questo tour, avviene con il brano My cosmos is mine, traccia di apertura
del disco, e non poteva essere altrimenti.
Subito dopo arriva Wagging
tongue, secondo brano di Memento
Mori.
Saranno veramente pochi i brani di questo lavoro a venir presentati
live in questo tour.
In perfetto stile DM, lo
spettacolo non tarda a prendere quota e ad avvolgere il pubblico. Martin si alterna come di consueto tra
chitarre e tastiere, come sempre Dave
farà la parte del trascinatore.
Una scaletta "quasi" perfetta, in cui troviamo anche Walking in my shoes, seguita da It's no good.
Nel buio dell’arena, i fasci colorati dei fari illuminano il pubblico.
Tra gli spettatori gli immancabili schermi degli smartphones sparsi qua e là,
mappano i vari settori. Le note che si accompagnano ai video introducono il
prossimo brano, Everything counts.
L’arrangiamento iniziale lascia pochi dubbi per la prosecuzione del
brano estratto da Construction time
again del 1983, che sarà poi seguito da Precious e da My favourite
stranger (anche questo da Memento
Mori).
Dopo la parentesi acustica di Martin
da solo sul palco assieme alla sua chitarra per Strangelove, entrano in scena dei palloncini di colore nero.
Si canta tutti in coro Happy Birthday per Mr Gore che proprio questa sera compie gli anni.
Il concerto prosegue, la festa continua. Ghosts again irrompe dagli amplificatori con le sue inconfondibili
note. Si tratta del bellissimo singolo di Memento
Mori, uno dei brani chiave di questo disco. Una commovente ballata,
accompagnata da un azzeccato video realizzato in bianco e nero, che viene
proiettato sullo schermo.
Un filmato dall'impatto fortissimo, ambientato in un contesto
metropolitano in cui, Martin e Dave, sono concentrati, uno contro
l'altro, in una partita a scacchi, come ne “Il
settimo sigillo” di Bergman.
A pain that i'm used to si
sprigiona in tutta la sua splendida arroganza nella versione live, prima della
bellissima World in my eyes, ovvero
l’atteso saluto ad Andrew Fletcher,
il cui volto appare sullo schermo.
Lo spettacolo ha ancora qualche carta da svelare e, prima dei consueti
bis, regala la magica Enjoy the silence
conclusa da Martin a suonarne
ripetutamente il riff, in mezzo al pubblico, in cima alla pedana del palco.
Sta per arrivare la botta conclusiva prima del definitivo congedo dal
pubblico, giusto il tempo per prendere un po' di fiato che è già il momento del
rush finale con Condemnation suonata
in versione acustica.
Ma ora si dovrà ballare, Eigner
inizia a scandire il tempo in quattro ed il pubblico sa già quale sarà il
prossimo brano. Dopo alcune battute il batterista austriaco aggiunge colpi
sulle pelli della batteria per permettere, all’inconfondibile intro di tastiere
di Just can’t get enough di
presentarsi al pubblico. Si canterà per tutto il brano.
Con Let me down again si
assiste al consueto rito che si rinnova ad ogni concerto quando, sul finale del
brano, Gahan si pone a bordo palco
ad osservare il pubblico, alza le braccia al cielo e fa vibrare le mani.
La gente sa cosa dovrà fare, non aspetta altro e risponde alla
chiamata, e dal palco viene dato il via facendo oscillare le braccia da un lato
all’altro.
Lo spettacolo, il colpo d’occhio che si viene a creare tra gli spalti
ed il parterre, ti da la sensazione di stare su di una zattera alla deriva in
un mare in tempesta, e salgono le lacrime per una scena così emozionante.
Siamo un esercito. Stanchi, sudati, senza fiato e senza voce, ma un
poca di forza ci rimane per l’ultimo giro di giostra.
Oramai ne manca solamente una alla lista, ed eccola, introdotta dal
riff di chitarra Rock Blues: la chiusura spetta a Personal Jesus.
A luci accese gli occhi fanno male, abituati al buio del concerto.
Storditi ed esausti, le forze per acclamare un’ultima volta, comunque non
mancano.
Sul palco quattro eroi che rispondono ai nomi di Martin, Dave, Peter e Christian ricambiano con affetto e soddisfazione.
Lo showbiz detta regole severe, non è affatto gentile. Impone orari e
calendari a lui più comodi. Non concede libera scelta, possibilità di alcuno
sgarro o cambio di programma.
Deve essere massacrante sopportare tutto questo per mesi, per anni,
per tutta una vita, ma questa volta però, alla fine di tutto, ho come
l’impressione che a tenere testa alle sue volontà, ci sia qualcosa di più
forte. Qualcosa di più profondo che riesce a sopportare le sue leggi ed almeno
per una volta, andarci oltre.
Gli amici del Red Bridge Group
per Angelo Fator, in sua memoria
Foto di Cristiano Pellizzaro
e Piero Udovicic