mercoledì 15 febbraio 2012

IO ERO A PARIGI! 40° anniversario della scomparsa di Jim Morrison


di Cristiano Pellizzaro

www.myspace.com/latanadeigechi

I° - "Il pellegrinaggio al cimitero di Perè Lachaise"

E’ estate, fa caldo, ci si spoglia ma qui nelle capitale francese un po’ di brezza aiuta a non sentire troppo il sole anche se al termine del dì la pelle calda e arrossata che necessita di essere idratata la senti. Siamo ai primi di luglio, le giornate sono belle, si respira bene e bisognerebbe andare al mare. Questi giorni però dalle spiagge per me saranno lontani. L’unico specchio d’acqua che vedrò sarà quello della Senna.
Ancora non mi sono reso conto di dove sono. Forse perché oramai l’età sta contribuendo a far passare il tempo in fretta, forse perché tra una scocciatura e l’altra questo week end è arrivato senza rendermene conto, ma non realizzo quanto sarà speciale, memorabile e soprattutto invidiabile per chi non ci sarà.
Potevo mancare all quarantesimo anniversario della morte di Jim Morrison con Manzarek e Krieger che suoneranno assieme? Proprio no!
Mi sembra ieri, quella serata di luglio di dieci anni fa a Genova. Vidi Manzarek per la prima e unica volta. Tre anni prima Krieger e Densmore per una disfatta incredibile.
Nel 1981 alla musica non ci pensavo proprio e nel 1991 appena conoscevo i nomi dei quattro Doors. Era proprio nell’agosto di quell’anno, mentre me ne stavo seduto sull’autobus n. 34 in Largo Barriera, in attesa che partisse dal capolinea, vidi in una vetrina posteriore di un’edicola un numero di Rockerilla che in copertina riportava tra i nomi trattati quel mese proprio quello dei Doors. Ovviamente scesi e lo comprai. Probabilmente era stato il primo articolo che leggevo su di loro, e l’ultima copia che avevano disponibile.
Da qualche parte la conservo ancora.
Dunque viaggiavo per la musica per l’ennesima volta. Questa volta in Francia e per qualcosa che va bel oltre ad un semplice concerto.
Era da marzo che tenevo d’occhio le date del tour di Manzarek & Krieger. Per la terza volta da dieci anni a questa parte, da quando hanno ripreso a suonare assieme, si presentano al pubblico con un nome diverso. Nel 2002, con il nome The Doors 21th Century. Ma Densmore che non aveva voluto prendere parte al progetto, non va giù il fatto che adoperino il  mitico nome marchio di fabbrica. Cambiano nome in Riders on the Storm e lo mantengono per quattro anni. Ora sono semplicemente Ray Manzarek & Robby Krieger of the Doors. La data parigina è stata tra le ultime ad apparire nel calendario ufficiale del tour 2011 e per forza di cose il 3 luglio avrebbero dovuto suonare a Parigi. Nulla di più ghiotto quindi anche perché la settimana dopo, per la prima volta il duo farà tappa in Italia e passerà vicino a casa mia.
Non appena la data di Parigi è stata confermata, mi sono dato da fare per il biglietto d’ingresso che sarebbe stato messo in vendita su di un circuito esclusivamente francese. Poco male però perchè con un due mail sono riuscito a scovare il nome del sito, “et voilà!”, in una settimana il biglietto era a casa mia. Curioso da vedere però perché il tagliando che mi era stato spedito era stampato su di un foglio A4 in bianco e nero. Non si trattava di un voucher, riportava il mio nome e specificava che avrei dovuto presentarmi con un documento d’identità.
Ero gasato ogni giorno di più! Anche perché a  poco più di un mese dal concerto, il sito delle vendite riportava la scritta “sold out!”
Non appena messo piede fuori dall’albergo al mattino del mio arrivo, voglio andare a fare visita alla tomba al cimitero del Père Lachaise. Già così è la tomba più visitata del cimitero e l’itinerario parigino trovato sul sito di Rainer Moddemann consiglia di andarci molto presto se si vuole evitare la ressa dei visitatori. Per non parlare di domani, quando ci sarà l’anniversario.
Quindi metropolitana, linea blu e stazione omonima del campo sacro. In superficie noto un muraglione vecchio con un accesso e i capitelli di alcune tombe. Ci siamo quindi. Anche se non c’è folla che si dirige verso l’accesso, non è difficile notare chi sta andando lì proprio per visitare la tomba.
Un’edicola vende mappe del cimitero e magliette di Jim Morrison. Compro una piantina e inizio il mio pellegrinaggio. Entro, seguo le indicazioni sulla mappa ma soprattutto tengo d’occhio se scorso le indicazioni della retta via incise su qualche tomba. E così è. Ecco fatto, questa salita dovrebbe portare proprio lì. Ora sta tutto nel buttare l’occhio, scorgerla e scovare i pellegrini . Ma mi facilità di più notare le transenne che impediscono alla gente di starci sopra. In quarant’anni questa tomba è stata vittima di furti e deturpazione di ogni genere.  

VIDEO 
La tomba di Jim Morrison


Il famoso busto bianco che ritraeva Morrison, dono di un fan jugoslavo alla vigilia del decennale della morte, era andato a sostituire delle misere conchiglie e un piccolo cippo riportante il nome del defunto. Questo busto oltre ad essere stato dipinto da qualche fan che non capisco cosa aveva tanto da colorare, era stato prima mutilato del naso e poi rubato da qualcuno. Sono stati gli eredi Morrison, a spese loro a fornire quell’orribile blocco di granito con targa di bronzo che oggi tutti abbiamo visto. La gestione del cimitero nel corso degli anni ha dovuto adottare diverse misure di sicurezza per evitare bivacchi anche di giornate intere, spazzatura lasciata in ogni luogo nei pressi della tomba e oggetti portati in dono che ammassati sembravano una discarica. Due telecamere attive giorno e notte, di cui una installata in uno dei faretti del lampioncino a pochi metri dalla tomba, sono collegate con l’ufficio del custode.
Tutto sommato non mi sembra tanto difficile da raggiungere questa tomba. Dunque ci sono, sono  giunto alla meta.  Già un po’ di persone stanno ad ammirarla. Addirittura i viaggi organizzati includono questo sepolcro nella visita al campo sacro. Le comitive giungono sino in prossimità, si fermano e le guide iniziano a spiegare la storia della “rockstar Jim Morrison” e  citano Jimi Hendrix e Janis Joplin ovviamente. Poi, finita la spiegazione raggiungono la lapide e ammirano…per alcuni si tratta addirittura di un emerito sconosciuto. Ma tanto il tour comprende anche questo; è compreso nel prezzo. Ma chi sarà mai?...boh?! I loro pensieri li intuisci guardando le loro facce.
Mi fermo un po’, osservo, penso a svariate cose, provo una sensazione del tutto normale come stare ad osservare un qualsiasi monumento.
La gente continua ad arrivare, e fa come me. Chi si ferma più tempo, chi due foto e scappa via. Sono quasi impassibile davanti a quel blocco di pietra freddo e inguardabile.
Mi chiedo per quale motivo gli eredi del patrimonio Morrison non spediscano quattro soldi a qualcuno in Francia per prendersi cura di questa tomba. Con tutti i soldi che sto morto, vero o falso che sia, gli fa guadagnare. E non saranno neppure pochi soldini. E pensare che il padre ha sempre sostenuto che l’affermazione del figlio a riguardo della morte della sua famiglia, era stata fatta solamente per non coinvolgerli in quello che sarebbe stato il tifone del successo Doors. Ma il giovane James era un tipo indomabile. Nessuno poteva e doveva comandarlo e ricevere il diniego e la disapprovazione dal padre ufficiale della marina statunitense, probabilmente ufficiale anche in ambito familiare, per quelle che erano le sue ambizioni artistico/cinematografico/musicali, era una cosa intollerabile per questo giovane ragazzo con un carattere simile che viveva negli stati uniti degli anni ’60.
Dunque oggi la tomba fa schifo. E’ misera e se confrontata con altre di nomi noti sepolti al Père Lachaise qualche secolo prima, è davvero deprimente.
A dire il vero non appena mi sono intrufolato tra le tombe, dopo aver intuito dove si trovava il Santo Sepolcro, un certo effetto mi ha fatto; sarà stato per suggestione, sarà stato perché finalmente mi ritrovavo davanti quella meta tanto rincorsa per diversi anni durante l’adolescenza e poi voluta raggiungere solamente in questa occasione dell’anniversario. Fatto sta che ora a ripensarci mi sembra di trovarmi davanti ad un monumento che fino al giorno prima lo avevi immaginato,visto alla tv oppure sui libri. C’è un’atmosfera strana. Non di quelle come se ci fosse una “certa presenza”, ma proprio di come se…non mi vengono le parole giuste.
La gente presente parla, ma lo fa sottovoce come è giusto che sia in un cimitero. Mi fermo un po’, scatto qualche foto, guardo le persone attorno a me mi immagino come sarà stato questo luogo nei vari anniversari passati, sia della nascita che della morte e mi tornano in mente le immagini finali a colori del filmato The Doors in Europe, con dei Doors ancora giovani al 3 luglio del 1981, in occasione del decennale quando arrivarono sulla tomba e incontrarono i fans. Domani la scena si ripeterà. Ci saranno solamente Robby e Ray, e non mi capiterà mai più un’occasione simile.
Non trovo motivo di rimanere ancora qui; faccio un giro nel cimitero. Voglio vedere anche le tombe di altri personaggi illustri. Lo sto girando in lungo e in largo, non ho difficoltà ad orientarmi e a trovare gli altri personaggi che mi interessano e non mi sembra di metterci troppo tempo. Trovo Oscar Wilde e mi chiedo per quale motivo il luogo del suo eterno riposo sia pieno di scritte che la lordano e nessuna protezione come la tomba di Morrison; trovo Rossini, Marie Trintignant e Modigliani. Non trovo la lapide in memoria di Maria Callas, ma trovo Edith Piaf e assisto ad un gruppo di appassionati che le dedicano una loro versione di Le vie en rose, conclusa con una clamorosa stonatura degna di fuga di gatti randagi. Povera Piaf.
Mi metto alla ricerca di Chopin. Lo trovo ma non riesco a vedere Petrucciani nonostante sia vicino al pianista polacco; pazienza.
E’ tardi, scendo verso l’entrata e ritorno per un passaggio veloce nuovamente sulla tomba di Morrison. Qualcuno mi ferma per chiedermi se forse so dove si trovi la meta del rock.
Mentre vado verso l’uscita tengo d’occhio i personaggi che incrocio sui viottoli e diretti in direzione opposta alla mia. Quasi tutti vanno proprio lì. E io ci tornerò domani.
La prossima tappa dopo una birra e una crèpe consumate fuori da un bar davanti l’accesso alla metrò, sarà Rue de Beautreillis 17, luogo dell’ufficiale decesso in vasca da bagno.
Metrò linea viola e si scende a piazza della Bastiglia. Quattro passi ed eccoci arrivati dopo aver passato davanti a locali, rivendite vini e alimentari frequentati da Morrison e segnalati sulla guida parigina di Rainer. Sul portone, un cartello scritto in francese e inglese avverte i possibili curiosi che quella casa è proprietà privata, quindi l’accesso non è permesso. Tutto normale per vedere un avviso così affisso sulla porta di un condominio in centro città. Ma un motivo in più questa volta ci sta tutto. Ovviamente i curiosi e fanatici del rock qui davanti ne verranno a migliaia ogni anno, e questa tappa è addirittura inclusa nei tour cittadini in bici organizzati per piccole comitive di turisti e che tanto vanno di moda oggi nella grandi città; passano di qui e si fermano su indicazione della guida che spiega il motivo della fermata davanti ad un portone anonimo con un numero sfigato in una stretta e poco soleggiata via a senso unico che sbocca nei pressi della Senna.

Qui però inizio ad a capire un po’ il significato di questo anniversario. Poco prima dell’arrivo di una comitiva di turisti-ciclisti, giunge una coppia di mezza età. L’uomo indossa una maglia nera con alcune immagini di Jim Morrison stampate sia davanti che sul retro. Si fa immortalare innanzi al portone dopo aver scattato alcune panoramiche del palazzo sulla via.
Ma quanto può aver significato indossare un indumento con la faccia o lo stemma di una band? Io ancora lo faccio ma il significato è diverso perché oggidì indosso le maglie dei concerti che sono andato a vedere. Ne possiedo moltissime che posso usare e altrettante sono messe in archivio sotto naftalina perché troppo vecchie e troppo logorate dal tempo e dai troppo lavaggi; sbiadite, sgualcite, consumata la stoffa che quasi ci vedi oltre come il tessuto di un fazzoletto comperato sulle bancarelle al mercatino per quattro spiccioli che dopo averci soffiato una volta lo getti. Quindi mi sono scordato di cosa vuol dire indossare un indumento di questo tipo, come uno indossa la maglia della sua squadra preferita. L’indumento significa far sapere agli altri la propria appartenenza. Questo significato mi invadeva il cuore e il sangue a quindici anni quando la prima maglietta che mi presi era proprio una di Jim Morrison. La possiedo ancora. E’ addirittura bucata dai troppi lavaggi. L’ultima volta che l’ho indossata è stato il 3 luglio del 2009 al concerto dei Jethro Tull. Tutte le maglie dei Doors che possiedo sono troppo vecchie e sbiadite per indossarle ancora. Quindi ho perso la via di quella mia ricerca, di quella voglia di appartenenza ad un gruppo. Ma qualcuno ben più vecchio di me non si da per vinto e ha ragione. E il giorno dopo ne avrò la riprova.
La giornata vola via, vado di corsa a vedere Notre Dame e passo sotto la torre Eiffel. Percorro il prato che si estende verso la città e poi risalgo l’altro versante oltre la Senna. Sul ponte osservo i giocatori d’azzardo con il gioco delle tre carte. Cercano di trovare il pollo di turno aiutati da altri complici che a puntante di 50,100 o più euro fanno finta di interessarsi al gioco per invogliare i passanti a farsi fregare. Mi fermo, osservo e dopo una o due manches mi offrono di giocare. Dico di no e al secondo invito me ne vado per evitare di farli insistere. Hanno un palo che per loro tiene d’occhio l’arrivo della polizia e in tal caso con un colpo gettano a terra il tavolo da gioco composto da alcuni cartoni e appoggiandosi al parapetto del ponte fanno finta di chiacchierare.
Inizia a fare tardi e ho fame. Vado quindi a Montmartre. Sulla collina c’è la chiesa del Sacre Coeur. Per arrivarci senza fatica devo prendere la funicolare. Prima di salirci, un ragazzo che aveva chiaramente capito io fossi un turista straniero, mi avvicina e mi propone della droga. Dall’alto della collina il panorama è davvero bello. C’è il tramonto e ci sono i parigini che s’incontrano per consumare una bottiglia di vino stando seduti sulle aiuole. Stessa cosa vista sotto la torre Eiffel e negli altri parchi. Probabilmente è una loro piacevole usanza per ritrovarsi assieme. Dietro alla chiesa la piazzetta del rione; cerco un localino tranquillo con tavoli all’aperto per cenare. Vicino a me quattro ragazzi spagnoli hanno da poco finito di mangiare. Mi chiedono di potergli scattare una foto. Pagano e se ne vanno.
In questi momenti di relax perdi la cognizione del tempo e nonostante non sia troppo tardi, finita la cena decido di tornare in albergo. Scendo dunque per il colle di Montmartre mangiando una crépe e passando per il quartiere di Pigalle.
Giunto all’hotel voglio però andare a vedere l’entrata del Bataclan. Purtroppo nulla è ancora pronto per l’evento della sera successiva. Al momento è in corso una serata musicale anni ’80-’90.
Nonostante i ricordi di quegli anni tornino sempre in mente molto volentieri, domani sera sarà di certo meglio. Quindi vado a dormire.



II° - "Get together one more time"
Le clebrazioni al cimitero

Domenica 3 luglio. Ci siamo, oggi sono quarant’anni che Jim Morrison ha terminato il suo cammino terreno. Devo fare in fretta, devo andare al cimitero.
Doccia e colazione con pochi liquidi per evitare che nel momento propizio la vescica tiri scherzi; in questi momenti, quando non deve, sa essere un’acerrima nemica che non perdona.
Prima di dirigermi verso il Pere Laschaise passo nuovamente davanti al Bataclan situato a due passi dall’albergo. C’è un furgone bianco fermo davanti all’entrata e degli addetti stanno scaricando l’attrezzatura. Su di una cassa vedo la scritta Tom Vitorino, manager dei Doors. Vi avvicino alla porta e guardo dentro. Vedo solo addetti ai lavori.
Prendo una bottiglia d’acqua, una confezione di biscotti e via in metropolitana.
La prossima fermata è la mia, scendo e torno in superficie. Il numero di persone che camminano verso l’entrata del cimitero è decisamente superiore a quella del giorno prima. Accelero il passo. Entro dall’entrata principale e rifaccio la strada del giorno prima. La ricordo senza esitare un attimo.
Saranno state le 9.30 di mattino se non ricordo male. Sono un po’ tardi rispetto a quanto avevo preventivato. Sul vialetto in prossimità di un accesso secondario, a forse 100 metri dalla tomba, sento dietro di me l’avvicinarsi di alcuni automezzi. Il rumore dei pneumatici sul selciato consumato è inconfondibile. Mi volto e in lontananza vedo una Twingo bianca del servizio di sicurezza del cimitero che avanza lentamente con le quattro frecce accese. Dietro, un furgone grigio e uno nero. Quello grigio ha i vetri oscurati. Indovina un po’ chi potrebbe stare seduto lì dentro la domenica mattina del 3 luglio 2011? Accelero ulteriormente il passo e mentre cammino veloce ogni tanto giro la testa per vedere quanto si sono avvicinati. Mi si affiancano ma dentro chiaramente non vedo nessuno. Mi sorpassano e inizio a correre.
Oramai sono arrivato alla salita e non manca molto alla meta. La carovana procede dritta e non da segno di fermarsi. O non sono loro, ma lo dubito, oppure si fermeranno in un luogo più comodo per parcheggiare gli automezzi.
Arrivo allora sulla tomba, di gente non è che ce ne sia molta e la situazione è vivibile. Rispetto al giorno prima ci sono alcune guardie che tengono d’occhio gli eventuali esagitati. Dove potrei mettermi? Chiaramente decido di appostarmi sulla transenna davanti alla tomba. Questo sarà il mio posto. Quando arriveranno me li godrò da qui. Ma quando arriveranno? Non sono sicuro fossero loro nei furgoni. Ad ogni modo ho messo in programma di stare qui anche tutto il dì. Non ci sarà scampo.
Forse due minuti saranno trascorsi da quando son giunto io che d’improvviso la gente tace. Quel bisbigliare che prima riempiva il mattino caldo, ora lascia spazio soltanto al rumore di chi muoverà i piedi per terra per camminare. Tutti girano la testa. Un gorillone a capo della comitiva chiede di fare attenzione e fare spazio. Eccoli! Manzarek e Krieger! Li intravedo tra gli uomini del servizio di sicurezza. Faccio partire la registrazione del filmato dalla fotocamera. Il servizio di sicurezza si schiera tra me e le transenne, formando un corridoio per i due Doors che mi passano vicino. Un brivido mi corre su per la schiena. Non ci credo, sono qui in questo momento storico che non si ripeterà mai più! Siamo in pochi per ora e io sono qui, così vicino a questi due che la storia l’hanno scritta, l’hanno vissuta e l’hanno vista cambiare. Se solamente lo volessi, potrei toccarli senza nemmeno stendere del tutto il braccio. Siamo talmente tanto vicini che li sento respirare tra il silenzio della gente. Sento il profumo del loro dopo barba. E non può essere che il loro perché non appena passano, quel profumo non lo sento più. La mia scelta di mettermi davanti la tomba, appoggiato alle transenne si dimostra essere stata assai infelice. Prima ci pensano i bodyguard, poi i vari fotografi e infine i soliti che tra una spinta e l’altra cercano di guadagnare i primi posti. Se solamente avessi deciso di mettermi a lato, dove il giorno prima due ragazze stavo sedute in adorazione, me la sarei goduta senza l’intralcio di nessuno. E da li oltre ad aver la visuale libera, Krieger stringeva mani e regalava bastoncini d’incenso. Ma dove sono vedo lo stesso molto bene. Tra i vari presenti riconosco Dave Brock, il cantante e dalle foto che scatterò vedo che in quel momento c’erano Tom Vitorino (manager), Phil Chen (il bassista) e gli altri personaggi dello staff che poi si vedranno sul palco la sera.
La visita alla tomba dura in totale meno di dieci minuti. Passate le transenne stazioneranno li attorno per porre alcuni bastoncini di incenso e farsi scattare alcune foto.
La loro visita verrà filmata e proiettata la sera durante l’esecuzione del concerto.
Proprio davanti a me, un negro spilungone con treccine rasta di quelle fine mi rende a momenti difficile poter vedere; la sera, assieme ad un altro della security, sarà uno dei protagonisti sul palco infuocato del Bataclan.
Tutto avviene nel più totale silenzio. Si sentono solamente gli scatti delle macchine fotografiche e i bisbigli della gente che commenta. Le voci dei vari saluti “Hey, Ray…”, “Hi, Robby” di quando hanno fatto la loro comparsa i due, ora sono sparite del tutto.
Ray si siede sulla tomba accanto a quella di Morrison e prepara gli incensi mentre Robby sembra molto più sciolto e socievole. Sembra quasi impossibile ma la gente ora è aumentata in numero esponenziale. La calca è notevole.

VIDEO
Ray Manzarek e Robby Krieger sulla tomba di Jim Morrison, 03/07/2011 (a video by testerpen) 


La loro visita è quasi finita. Dopo aver acceso gli incensi e averli posti sul blocco freddo di granito, guardano la gente sorridendo e alzando le braccia tenendo le dita a “V” mettendosi in posa. Parte un applauso e qualche grido. Mi accorgo che non è partita la registrazione del filmato e tra un imprecazione e l’altra velocemente cambio impostazione della fotocamera e scatto una manciata di istantanee. Pochi scatti per il pubblico, e i due salutano abbandonando la scena tra gli applausi. Passano tra le due tombe dietro, per arrivare sul selciato e dirigersi verso le macchine. Non me li voglio perdere, quindi corro, salto oltre a delle lapidi, faccio dribbling tra altri spettatori e anticipo il piccolo corteo. Mi posiziono davanti a loro mentre stanno salendo. Il filmatino questa volta parte. Li seguirò fino alla loro partenza. I bodyguard non hanno molto da fare. La gente è tranquilla e composta. Qualcuno si posiziona d’improvviso davanti ai due per cercare di ottenere una stretta di mano. Qualcun altro si lascia andare in ringraziamenti del tipo “thank you for the Doors!”, oppure “thank you Ray…”.
Saliti sul furgoncino, solamente Robby darà soddisfazione ai fan del cimitero che riusciranno a rubare un paio di autografi. Ray snobberà tutti facendo finta di non vedere.
Questione di carattere? Vita da star? Essere snob? Tutto sommato hanno pure i loro anni. Sono stanchi di avere la gente che gli alita sul collo per foto ricordo e autografi. E poi se si fossero messi ad accontentare tutti non se ne sarebbero più andati via e per il resto della giornata, per quanto lunga ancora fosse, li attendevano il suond check e sicuramente un incontro con i giornalisti. Quindi c’è tensione. Questa non è soltanto la loro prima data europea ma il concerto dell’anniversario. Quell’anniversario che non si ripeterà mai più. Quell’anniversario che per la prima volta ne vede due di loro assieme. E dovranno fare bella figura. Sembrerà assurdo dirlo ma sono obbligati a non sfigurare. Questo concerto mai c’è stato e mai più ci sarà!
I pulmini partono e la gente li saluta. Non credo ancora a dove sono e a cosa ho preso parte. Ci sono persone di tutte le età e da diverse parti del mondo qui oggi e stasera saremo ancora di più.

VIDEO
Ray Manzarek e Robby Krieger al cimitero di Perè Lachaise 03/07/2011

Ray Manzarek e Robby Krieger-Parigi, Perè Lachaise 03/07/2011 (a video by testerpen) (maglia gialla e occhiali da sole: a 3’14” circa appaio fuori del finestrino a fianco di Manzarek!)
 
Le vetture scompaiono presto nella discesa del viottolo sotto l’ombra degli alberi. A guardarmi intorno mi sembra di stare in mezzo ad una piazzetta di gente cotta in testa dal sole. Tutti a seguire con lo sguardo le vetture e a salutarli. Chi parla, chi guarda le foto scattare oppure i filmati, ma tutti abbiamo lo stesso sguardo da fessi cazzoni rimbambiti come se avessimo ricevuto un possente colpo in testa con una mazza. Increduli di quanto vissuto,  questo è un altro tassello del puzzle che si compone; sto iniziando a capire cosa vuol dire “credere”. Sto iniziando a capire il senso di questo evento.

Chi prima e chi dopo, dopo esserci ripresi, ritorniamo da Jimmy. La gente è notevolmente aumentata, Molti sono arrivati in questo momento e non credono al fatto che i Doors siano appena stati li e loro se li sono persi. Davvero numerosi adesso gli addetti al servizio di sicurezza del cimitero per garantire non solo l’integrità della tomba di Morrison, ma anche per far sì che nessun altra divenga luogo di bivacco o indecorosamente adoperata come palco fotografico.
Attorno alla tomba c’è un continuo via vai di gente di tutte le età. Siamo immersi in un mare di magliette doorsiane di tutti i tipi. l’impressione di stare ad un ritrovo di amici, ad una rimpatriata.
Prendo posto nuovamente su di una transenna. Dietro a me un ragazzo sottovoce canta People are Strange e End of the night. La gente è sempre più numerosa. Tra tutti i volti vedo la coppia di mezza età che il giorno prima avevo visto in Rue de Beautreillis 17. Io li guardo, loro mi riconoscono; il tipo porta la stessa maglietta. Non ci salutiamo ma gli sguardi che facciamo incrociare sono dei chiari messaggi amichevoli.
Un giornalista francese gira nei paraggi della tomba e raccoglie informazioni e pareri della gente. Ruba con l’occhio e riporta appunti sul suo taccuino. Sta vicino a me, si volta, mi vede e osserva la mia maglietta gialla con la scritta Australia. Abbassa lo sguardo e riporta qualcosa tra i suoi appunti.
Passerò alcune ore al cimitero; me ne andrò verso le 12 circa per proseguire verso altre tappe.
Il giornalista francese, che parla un buon italiano, raccoglie alcune informazioni da un gruppo di ragazzi di Treviso. Ascolto la loro conversazione. Vannjijoe parla per gli altri e finita la breve intervista, il giornalista stesso ammette d’essere ignorante dell’argomenti Doors; è presente sulla tomba solamente per richiesta della redazione per raccoglie pareri, testimonianze e capire da dove arriva la gente, e accennando a me con la penna dice “…ad esempio Australia...”.

I trevigiani sono in otto e attirano l’attenzione in quanto hanno tutti la stessa maglietta. Si sono regalati un week end a Parigi proprio per questo evento e uno di loro ha deciso di fare a tutti gli altri in bel regalo: una maglia personalizzata proprio per questo evento. Erano una vera squadra. Diverse persone chiedevano loro di poterli fotografare. Li invidio; loro sono tanti, tutti con la stessa passione e sono venuti fin qui per questo evento, mentre io giro il mondo in solitaria.
Scambio due parole con loro. Ci presentiamo e facciamo conoscenza sul vialetto dietro al santo sepolcro. Oltre a Vannijoe c’è Max, batterista degli OJM e proprietario della GoDown Records e Fabietto cantante dei Shaman’s Blues, una Doors cover band della quale ho già sentito parlare ma non ricordo bene in quale circostanza.
Sto quasi per lasciare il cimitero mentre loro si concedono una pausa per andare a bere qualcosa. All’invito degli altri Fabio declina e dice “no, non vengo. E’ troppo bello qui”. E in effetti aveva ragione. Si era venuta a creare un’atmosfera particolare. Peccato che io abbia scelto di andare a fare un giro verso altri luoghi. Nel primo pomeriggio la gente cantava proprio lì attorno. Alcuni filmati postati su youtube lo testimoniano e per quanto siano solamente filmati, l’energia si riesce a coglierla comunque.

VIDEO
Parigi, 03/07/2011- canti e danze al cimitero di Perè Lachaise (a video by DitaDoll79) 
Parigi, 03/07/2011-lettura di poesie al cimitero di Perè Lachaise (a video by mhjmmh) 
Parigi, 03/07/2011-canti al cimtero di Perè Lachiase (a video by mystery2202) 
Parigi, 03/7/2011-canti al cimitero di Perè Lachaise (a video by anitalanemonik) 
Parigi, 03/07/2011-canti al cimitero di Perè Lachaise (a video by mhjmmh) 
Come dicevo, avevo deciso di fare una giro veloce per vedere altri posti dell’itinerario di Rainer Moddemann, quindi il luogo dove una volta sorgeva il Circus, ovvero un malfamato locale frequentato da Morrison e dove si dice possa essere morto effettivamente. L’albergo dove morì Oscar Wilde e dove Jim e Pamela avevano soggiornato per un breve periodo in un alloggio al primo piano; e grazie al cielo che era il primo piano perché sembra che proprio qui, durante una lite tra i due, Jim sia volato giù da una finestra per finire sopra il cofano di un auto. Rialzatosi andò al bar a bere come nulla fosse accaduto.
Quindi altre tappe storiche, ma il tempo è contato; voglio essere tra i primi ad entrare nel teatro.
Alle 16.30 torno indietro per lasciare lo zaino in albergo e già noto un po’ di movimento all’entrata del Bataclan. Saranno solo in sei ma il fatto che già ci sia qualcuno è davvero una situazione “pericolosa”. Non per nulla l’albergo l’ho cercato nelle vicinanze della sala da concerto, così vado, lascio lo zaino e dopo un quarto d’ora sono nuovamente davanti all’entrata. Ora ci sono venti persone. Va bene lo stesso perchè sarò tra i primi.



III° - "Ladies and gentlemen, from Los Angeles California..."
Cronaca completa del concerto al Bataclan
 
Ora bisogna solo avere pazienza. Fino alle 19 non apriranno. L’attesa sarà lunga ma passerà.
Piano piano la fila dietro a me aumenta, si forma un cordone umano che sarà un vero peccato non poter osservare da fuori per vedere fino a dove si prolunga. Al loro arrivo gli addetti alla sicurezza sistemano delle transenne in modo da rendere la fila più ordinata e l’atmosfera inizia a fasi palpabile.
Tra le persone che vedo passare per mettersi in coda e che si fermano ad osservare la situazione, scorgo il gruppo di Treviso e i ragazzi spagnoli della sera prima a Montmartre.
Il marciapiede è affollato e colorato dell’immenso stuolo di maglie doorsiane che lo invade. Immagino che vista da fuori della coda d’entrata, questa situazione sia da film americano; tutta questa gente ordinatamente in fila fin sotto la porta della sala da concerto che riporta sul cartellone l’evento della serata composto con lettere incastonate sull’insegna luminosa.
Peccato che non ho indossato nessuna della mie maglie. Gente di tutte le età, da un ragazzino di otto anni a signori di sessanta; ci sono varietà di magliette per tutti i gusti e di tutti i tipi. Maglie mai viste fino ad oggi. Pochissime che si ripetono. Alcune le ho già viste, altre sono simili tra loro ma non identiche. Solo io ne possiedo otto se ricordo bene. Tutte diverse e soprattutto nessuna delle mie la rivedo tra quelle che ci sono oggi. Se solamente una di quelle l’avessi indossata, sarei stato orgoglioso di sfoggiarla; sarei stato l’unico con quella maglia, sarei stato un esemplare.
Ci siamo, le porte si aprono, quindi biglietto e documento alla mano. Sì perché il biglietto A4 stampato in bianco e nero era un’”esclusiva” di chi lo comprava dall’estero, e una volta arrivato all’entrata, se il lettore del codice a barre non autentificava il biglietto dovevi esibire il documento per verificare i dati dell’intestatario sul tagliando d’ingresso.
In poco tempo sono dentro. Primissime file. Tra me e il palco solamente una persona.
Il Bataclan si presenta come un teatro a pianta circolare con platea, una prima galleria rialzata di alcuni gradini e una seconda galleria accessibile da scale apposite. Mi ricorda molto il nostro teatro Rossetti. Un pavimento in tavole nude rende ancor più suggestivo il luogo. Sul palco già ben esposta la tastiera di Manzarek, una Vox Continental.
Non ci vuole molto a riempirsi; in platea non solamente giovani temerari ma anche cinquantenni curiosi e forse impreparati alla bolgia della serata. Qualcuno ne uscirà mal concio.
Osservo ogni piccolo particolare. Siamo pronti. Ulteriore attesa, la più estenuante ora che il tempo sta per scadere. Le luci si spengono alle ore 20 circa ma è un falso allarme. Il palco viene occupato da un cantautore folk. Ecco di chi era quella chitarra acustica appoggiata su supporto al centro del palco vicino al microfono. E io che temevo sarebbe stato lo strumento di Dave Brock. E sua era pure la scaletta attaccata con lo scotch sulla cassa spia vicino all’asta del microfono; tutti l’abbiamo fotografata allungando la mano e perplessi guardavamo poi l’immagine dal monitor perché non capivamo cosa centrasse. Il cantore termina il suo set, saluta e se ne va.
Ultimi preparativi e la tensione sale. I roadies sistemano le scalette della serata, passano i cavi, portano bottiglie d’acqua e asciugamani. Phil Chen gira sul palco e porta in vista il suo basso. Il tecnico video prende posto dietro al suo Mac alle spalle della postazione di Manzarek e prova il video proiettore; il fonico del palco tutto dall’altra parte del collega dei video è impegnato con la consolle. Ovviamente la disposizione dei musicisti sarà quella classica a cui siamo abituati nel vedere i filmati d’epoca. Il manager Tom Vitorino gira nervosamente sul palco per gli ultimi preparativi mentre i due bodyguard studiano la disposizione del pubblico a ridosso del palco non protetto questa volta dalle transenne e dal corridoio di sicurezza che abitualmente attenua l’urto della massa e permette interventi di soccorso e di sicurezza. Poi prendono la loro posizione ai lati della batteria.
E’ questione di attimi; i francesi sono famosi per essere più svizzeri degli svizzeri in fatto di precisione con gli orari ma stavolta, anche per il fatto della spalla che ha suonato prima, siamo ben oltre all’orario di inizio. Quindi da un momento all’altro…e la tensione sale!
Le luci si spengono d’improvviso come ad ogni concerto e la gente grida, applaude e acclama mentre dal banco del mixer è partita The Wheel of Fortune-O Fortuna dei Carmina Burana per aprire la serata come di consueto. Si mette in funzione il proiettore che lancia sul telo bianco alle spalle della batteria, una curiosa immagine: il ritratto in bianco e nero in primo piano di un Cristo sofferente creato con un gioco di composizione di immagini di personaggi e scene della Via Crucis.
Si intravedono dei movimenti dalla tenda del back stage alla sinistra del palco. Si vede la luce dei camerini e  gente che si muove.
Delle sagome al buio entrano in scena. I flash delle fotocamere non si sprecano e il teatro crolla tra gli applausi e le grida del pubblico. I musicisti prendono posto mentre l’annuncio “Ladies and gentlemen, from Los Angeles California, Ray Manzarek and Robby Krieger of the Doooooooooooors!” lancia ovviamente l’inizio della riunione con Roadhouse blues e le luci si accendono. La platea diventa una bolgia tra urla, canti a squarcia gola, salti e pogo sedato dalla presenza nelle prime file di gente non più adatta agli spazi per scalmanati.

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Ladies and gentlemen, from Los Angeles California... 
(L'apertura del concerto e Roadhouse blues, Live at Bataclan 03/07/2011) 
 
Dave Brock comanda il palco a dovere; proprio lui e meglio non ci poteva essere perché estrapolato da una storica tribute band, i Wild Child, della quale ne era il frontman per svariati anni. Qualcuno se lo ricorderà ad un suo passaggio televisivo nel 1992 al  Maurizio Costanzo nel pieno periodo del ritorno Doors dopo il film di Oliver Stone. I Wild Child in quegli anni passarono in Europa un paio di volte per dei tour. Ricordo alcuni servizi su riviste e vidi quella puntata della trasmissione serale; Brock rimase seduto tutto il tempo senza venir interpellato fino al momento di dover rispondere al alcune brevi domande per poi esibirsi in una Back Door Man in playback versione studio. Il tizio che avrebbe dovuto suonare le testiere, un biondo cappellone baffuto, di stile vichingo, si sedette al pianoforte di Bracardi.
Alla fine mi risultò tutto molto patetico.
La corsa prosegue con l’inconfondibile groove di Break on through seguito dall’intro di organo. Proprio quel brano che nei primi giorni del gennaio del 1967 annunciava la band al mondo intero con quel loro primo disco che sarebbe stato definito come uno dei migliori debutti della storia della musica. Bello è stato sulla parte finale del brano, vedere Phil Chen girato verso la batteria con il piede sinistro appoggiato sul ripiano che rialzava la sezione ritmica di Ty Dennis e guardarli mentre si osservavano compiaciuti durante la perfetta sincronia dei loro due groove.
Ma chi sono questi due musicisti per lo più sconosciuti? Il batterista Ty Dennis è un baldo giovanotto vecchia conoscenza della band, e ancora prima di Krieger; sembra che i due suonassero assieme addirittura con la Robby Krieger Band. Nel filmato dei Doors 21Th Century del 2002, il drummer è proprio lui. Il bassista invece è uno storico sessionman molto noto negli anni ’70. Ha suonato con Jeff Beck e Rod Stewart. Pure lui vecchia conoscenza di Krieger.
Poi è la volta di Strange days seguita da When the music’s over accolta dal pubblico con un boato. Guardo Manzarek mentre esegue lo storico intro e mi accorgo che lo sta suonando con una mano sola. Ecco il motivo del bassista musicista aggiuntivo. La mano sinistra di Ray non riesce più a gestire uno strumento ulteriore. La loro particolarità era proprio questa, l’assenza di un bassista. Problema risolto con una testiera basso suonato da Manzarek con la mano sinistra, mentre la destra comandava l’organo. Suppongo fosse un gioco non da poco; doveva essere come suonare un altro strumento. Ora però le cose, magari con dispiacere, sono state semplificate.
Viene presentata la band, si torna a correre con Peace Frog e ovviamente Blue Sunday.
Qualcuno cerca di invadere il palco senza successo. Il tizio dietro a Manzarek, al controllo dei video, intuisce le intenzioni di qualcuno e abbandonata la sua postazione, si getta a bordo palco e scaraventa sul pubblico il malintenzionato. Subito arriva pure uno della security e in due rimangono a per alcuni istanti a controllare la faccenda.
Ancora altre tre volte qualcuno cercherà di invadere il palco ma i due bodyguard, all’apposito segnale scatteranno come levrieri per afferrare la loro preda, sollevarla dalla folla e portarla nel bakcstage. Qualcuno però ha combattuto con loro. Ha giocato a chi era più furbo. Un tizio posto di fronte a Krieger dopo alcuni tentativi di invasione, era tenuto d’occhio dai due uomini. Uno addirittura a gesti gli faceva capire di stare a controllarlo. Alla fine però hanno vinto loro. Un altro invece li ha fregati. Alla  mia destra ad un certo punto vedo uno che sta per salire sul palco e per poco non viene acciuffato. Lui però ha altre intenzioni. Non appena riesce a mettere i piedi sul palco, si accoscia e si spinge indietro sopra la folla. Un grandioso stage diving sopra la mia testa, sorretto dalle mani del pubblico che lo faceva scorrere lontano dal palco verso la fine della sala. Non lo dimenticherò mai quel tizio. Jeans blue, scarpe da ginnastica e una felpa legata ai fianchi. Mi è passato vicino, l’ho sentito gridare “Yeah!!!” e rideva con lo sguardo verso il soffitto mentre spariva sopra le nostre teste inghiottito dal buio della sala. Mi volto nuovamente verso il palco per assaporarmi lo spettacolo e vedere quell’incredibile sosia di Morrison non solo nelle sembianza, nella voce e nel cantare, ma anche nel muoversi e nel comportarsi; agita l’asta microfonica sopra il pubblico, lascia penzolare il microfono dal suo cavo sopra le teste degli spettatori.
Ovviamente questa sera non si tralascia l’anniversario. Ray spende alcune parole e chiede chi del pubblico fosse stato presente al cimitero. Ovviamente si alzano una miriade di mani tra le urla. Ma poi prosegue ricordando che è pure l’anniversario dei quarant’anni della pubblicazione di L.A. Woman, “…e noi questa sera ve lo soneremo tutto! Changeling, Love her madly, Been down so long, Cars hiss by my window, L.a. Woman. L’America, Hyacinth house, Crawlin king snake, Wasp e Riders on the Storm!”, dice Manzarek al pubblico incredulo mostrando la lista completa dei brani.
E così via fino all’ultimo brano Riders on the  storm anticipata da The Hitchhiker poem recitata da Brock mentre Ray e Robby abbozzavano la melodia della canzone. Se non ricordo male, c’era una base di pioggia e tuoni mentre sullo schermo scorrevano delle immagini di un cielo nuvoloso. Ray chiede di abbassare le luci, l’atmosfera si fa intensa e quindi partono in quella dolcissima suite che chiudeva la loro storia a quattro. Come se l’avessero fatto di proposito quel brano con la pioggia. Un temporale che scatenava i suoi tuoni e il brano stesso che terminava con tastiera e chitarra che suonando richiamavano alle ultime gocce. Sembra quasi sia stato un saluto, come se con quel brano si fosse giunti alla quiete dopo la tormenta degli ultimi cinque anni.

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Riders on the storm (Live at Bataclan, 03/07/2011) 
Le luci si accendono e dopo i saluti i musicisti escono di scena ma ovviamente rientrano sul palco. In programma hanno in scaletta un solo bis che dovrebbe essere Light my Fire, ma le circostanze non possono renderli avari. Attaccano con Love me two times che aizza ulteriormente il pubblico sulle prima note di Krieger e si scatenerà ancor di più sulle grida di Brock prima dell’assolo di Manzarek.

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Love me two times (Live at Bataclan, 03/07/2011) 
Nuovamente davanti al pubblico del Bataclan, Brock inizia a chiedere quanti brani vogliamo. Io che sto davanti a lui, alzo la mano e gli indico “5”, altri acclamano i nomi dei brani e The End sembra essere la più gettonata tanto da sembrare di stare in una grotta ad ascoltare l’eco che si ripete più e più volte.
Manzarek è stanco; seduto dietro la sua tastiera, appoggia gli occhiali sullo strumento e si passa le mani sul volto. Mentre lo guardo, al suo fianco, uno dell’entourage si accovaccia a bordo palco per assistere qualcuno delle prime file. Approfittando dunque di questo momento di distrazione, uno del pubblico sale sul palco, corre alle sue spalle, passa a fianco di Manzarek e a meno di un metro via da me, salta sul pubblico impreparato creando una voragine. In quel momento stavo filmando e la scena la riprendo solo in parte. Per proteggere la macchina fotografica, l’ho abbassata. Mi giro e dietro a me vedo uno spazio impensabile, creato da chi per tempo si è tirato indietro e da chi è stato invece atterrato dal malaugurato uomo volante steso a terra sopra ai corpi degli atterrati. 

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Prove di stage diving e Five To One (Live at Bataclan, 03/07/2011) 

Five To One (Live at Bataclan, 03/07/2011), a video by TheLz69 

Una ragazza molto vicina a me, ha gli occhi lucidi e rivolti verso l’alto. Sta ondeggiando, deve essere stata colpita. Se cade per lei è finita perché la gente sta rapidamente riempiendo la falda senza esitare. Allungo il braccio, la afferro e me la tiro addosso abbracciandola. Le chiedo in inglese se sta bene. Mi risponde lacrimando e facendomi un segno con la testa, poi si gira e si fa consolare dall’amica.
Generosi i componenti della band, concederanno Light My fire come ultimo brano, ma non prima di un ulteriore sorpresa che sarà Five to one. Inaspettata dal pubblico, quanto fuori programma per la band, il ritmo con cadenza marziale del brano ipnotizza gli spettatori. La bolgia della platea inizia a pogare lentamente ma in modo deciso e pesante. La situazione degenera in men che non si dica e mi rendo conto che se voglio uscire illeso devo difendermi. Inizio quindi a spingere e a rispondere fisicamente a chi mi viene addosso spedendolo da dove è arrivato. Lo stesso fanno gli altri con me. L’importante è rimanere in piedi. In un bagno di sudore come poche volte, mi gusto il finale storico proteggendomi i petto e i fianchi da eventuali colpi e cercando di proteggere pur la macchina fotografica. Più di qualcuno tra il pubblico non ce la fa più o si sente male. Non soltanto i due omaccioni addetti alla sicurezza dovranno occuparsi di chi chiede aiuto; pure il manager della band e un altro dello staff si gettano in prima linea occupandosi della parte destra del palco. La gente li chiama, fa notare che qualcuno non sostiene più il ritmo. Loro accorrono, afferrano da sotto le ascelle i corpi passati loro da chi ancora è in se, li sollevano e li portano nel backstage a peso morto. Tra uno spintone e l’atro andando a destra e sinistra, mi si incrociano inspiegabilmente le gambe; perdo l’equilibrio e sto per cadere. Dietro a me la sfiga vuole che si stia formando una pericolosa voragine. Per mia fortuna l’onda d’urto ricevuta torna indietro e il pubblico riempie il buco formatosi e mi rimetto in piedi riallineando le gambe. In questo casino non riuscirò a filmare l’inizio di Light my fire; proprio mentre stavo cambiando le batterie, ostacolato dalle mani sudate che scivolavano sulla plastica dello sportello, il pubblico ha iniziato a spingere nuovamente.
Sulle storiche note del loro brano, si chiude l’esibizione. A centro palco i 5 eroi salutano e se ne vanno. I roadies lanciano al pubblico sfoltito della platea trofei quali bacchette, asciugamani, tappi delle bottigliette.
Trovo tra la folla qualcuno di quelli di Treviso e li ritroverò anche fuori dal teatro. Mi prendo una birra al bar. Ne ho bisogno, sono fradicio e ho sete. Non ci sono gadget di nessun tipo. Peccato. Fuori c’è un forte assembramento davanti al teatro. Il bar è preso d’assalto. Dopo un bel po’ di tempo dalla via laterale sbuca la medesima auto nera che al mattino li ha portati in cimitero. Dalla porta di servizio Manzarek e Krieger sono usciti, saliti in macchina e tra gli applausi la vettura se ne va facendosi largo tra la folla. “It was the greatest nigth of my life…”, sì, proprio come cita Graveyard Poem, la poesia recitata da Morrison sul finale di un noto live di Light my fire e che Brock ha replicato stasera.

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 Light my fire (Live at Bataclan, 03/07/2011)




IV° - "Il concerto di Grado "

Lunedì 4 luglio, dunque si torna a casa. Nel primissimo pomeriggio, giungo all’aeroporto con largo anticipo. Durante il viaggio in treno, mi sono gustato le foto delle giornata precedente completando l’ascolto degli ultimi mp3 della doorsiana discografia, iniziato all’aeroporto di Ronchi il venerdì sera e proseguito in perfetto ordine cronologico di pubblicazione di Lp. Non appena vedo su uno dei tabelloni la scritta Tel Aviv, mi balza in testa un idea pazza e malsana. Andare a cercare il gate con destinazione la città israeliana e chissà che non me li ritrovi davanti dato che la loro prossima data sarà proprio lì il giorno seguente…lasciamo perdere che ancora non combini qualche casino. Rientro regolare quindi. A Roma, tra un aereo e l’altro telefono ad Antonella e le racconto del week end. Le svelo il tour de force del quale non avevo raccontato nulla a nessuno per pura scaramanzia e la invito, assieme a Max, alla data di Grado del 10 luglio. La sera stessa giunto finalmente a casa, mi precipito su internet e trovo che già qualcuno ha postato su Blogspot un resoconto della serata parigina, per non parlare dei video su Youtube. Immediatamente inoltro i link a Paolo che non tarda a darci un’occhiata e commenta così: “…dopo aver visto i video devo dire che trovo tutto molto irreale! Il tizio non solamente canta come Jim. Mi fa impressione vederlo”. Il giorno dopo ci sentiamo telefonicamente e scambiamo alcune impressioni. Approvo pienamente il fatto che abbiano scovato un cantante come Dave Brock. Era indispensabile mettere a giocare in quel ruolo una “precisa goccia d’acqua” di Morrison. Altrimenti lo spettacolo non avrebbe retto. Non so cosa poteva essere peggio se uno scimmiotto oppure uno che non richiamava per nulla Jim. Piuttosto il fatto che avessero un bassista era un particolare che non mi andava giù; i Doors erano sempre in quattro e Manzarek suonava la testiera basso. Un quinto elemento era di troppo e il “troppo stroppia”. Ma come già detto, evidentemente Ray non riesce più da tempo a tenere le due linee strumentali diverse e separate come una volta. E già quella è stata un impresa che gli valse un titolo come migliore musicista dell’anno se non sbaglio.
Tutta la settimana corse via velocemente mentre mi godevo il viaggio a Parigi e la prospettiva di vedermeli nuovamente una settimana di distanza a pochi passi da casa mia.
E’ domenica 10 luglio, da poco sono passate le 15 e ci stiamo preparando per partire. Ieri sera però hanno suonato al Pistoia Blues. Vado dunque a vedere se ci sono delle recensioni in rete. Voglio vedere cosa dicono e soprattutto se il pubblico ha creato problemi come a Parigi. Purtroppo le cose son andate addirittura peggio. Una recensione racconta di un pubblico che spingeva fino al punto da abbattere le transenne e costringer la band a sospendere momentaneamente l’esibizione, anche se prima di riprendere a suonare erano un po’ timorosi. Fortunatamente la serata di Grado sarà tutt’altro che pericolosa.
Dunque Grado. Io, mio padre e Toni. Un po’ agitato ammetto di esserlo ma non tanto per il fatto del concerto ma per paura di trovare tanta gente davanti al cancello. Anche questa sera voglio essere in prima fila. Arriviamo all’entrata e con immensa gioia vedo che alle 18.20 la gente che attende è davvero poca. Ci mettiamo in file, ma prima delle 20 non apriranno. Allora mio padre dice “possiamo stare tranquilli, ne abbiamo di tempo. Che facciamo? Andiamo a fare quattro passi?” Lo guardo e gli dico “Ma sei matto? Io da qui non mi muovo. Un'altra opportunità simile non mi capiterò mai più!”. Attendiamo allora con pazienza. Durante l’attesa in fila si parla di quanto ci aspetterà durante la serata. Racconto di Parigi e della storia dei quattro “super eroi”. Noto che la gente attorno tira l’orecchio per ascoltare e alzo lievemente il volume della voce. Un ragazzo di Vicenza entra nel discorso e piacevolmente discutiamo tutti assieme. Gli faccio vedere la scaletta della serata consegnatami al banco degli accrediti assieme al poster e mi chiedono se lo spettacolo meriti i soldi del biglietto. Avendoli già visti una settimana prima posso garantire.
I cancelli si aprono e nonostante non ci siano chissà quante persone davanti a noi, tutti occupano il posto sulle transenne davanti alla tastiera di Manzarek. Noi prendiamo posto davanti la postazione di Krieger.
L’attesa sta volta è davvero snervante. Fortunatamente siamo all’aperto, sulla diga in riva al mare. Il palco davanti a noi sta sotto ad alcuni pini; alle nostre spalle invece, il mare e la baia di Trieste.
Poco prima della 21 arriva il furgoncino dell’organizzazione dal quale scendono i musicisti. Lo segnalo ai miei due compagni e la voce si sparge mentre li scorgiamo passare sotto gli alberi tra le aiuole dietro al palco.
Tutto è pronto ma chissà perché, lo show inizierà verso le 21.30. Intanto il manager Tom Vitorino impartisce gli ultimi ordini ai fotografi già nel corridoio di fronte al palco. Finalmente anche ci siamo e quindi si spengono le luci. Lo spettacolo previsto, è identico pressappoco agli altri del tour, ma diverso da Parigi. Questa sera non hanno in programma l’intera esecuzione di L.A. Woman; al posto dei brani non in programma altre bellezze musicali che poi non eseguiranno. Mancheranno all’appello  Gloria, Riders on the storm, Spanish caravan. Ma per soddisfarci dovrebbero eseguirle tutte. Salgono sul palco e la folla impazzisce. I fotografi corrono da un lato all’altro per immortalare gli artisti. Krieger,che si può muovere senza problemi è preso d’assedio quando davanti a noi si lascia andare in un breve duck walk alla Chuk Berry.
Tra Break on through e Strange days, cerco di attirare l’attenzione di Robby. Ho un messaggio scritto su di un foglio A4:“I WAS IN PARIS LAST WEEK!”. Purtroppo nulla da fare. Manzarek saluta il pubblico e parla al microfono, scruta la gente e indica verso la fine della diga, dove suppongo le teste si vedevano a mala pena, confondendosi con il buio che si distingueva dal mare solo per il riflesso sull’acqua della luna e delle luci di Trieste e del litorale istriano sullo sfondo tutto dall’altra parte del golfo. Ray prosegue con i saluti “All you guys are ok?” e il pubblico ricambia acclamando; scruta e parla ancora, poi gira la testa e guarda verso l’esatta estremità del palco opposta alla sua posizione. Io mi sporgo oltre le transenne e mostro il mio foglio. Manzarek, con la mano sulla fronte per facilitarsi nella vista altrimenti ostacolata della luce dei fari, stringe un po’ gli occhi, allunga il braccio e con il dito indice indica verso di me. Attenzione, sembra avermi visto. Poi dice “…some body was in Paris Last week, very good for you man!”. Per educazione si risponde, ed io alla sua chiamata ribatto immediatamente forse più per istinto che per una questione di lucidità. Mi sporgo oltre alle transenne che quasi cado dall’altra parte. Uno della sicurezza con scatto da velocista parte per prendermi. Per puro caso con perdo l’equilibrio, quindi alzo il braccio con il messaggio in mano per farmi vedere e grido “In Paris! In Paris!”.

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Ie e Ray Manzarek 

Non ci credo, Ray ha letto il mio messaggio, mi ha visto, mi ha trovato tra le prime file. Tutti sanno che io ero a Parigi la settimana scorsa. Tutti lo sanno, il pubblico, la band…tutti! La musica riprende e approfitto del mio attimo di gloria per farmi immortalare assieme al mio messaggio da Simone Di Luca, fotografo autorizzato, e finire sul sito di Azalea Promotion, organizzatori della serata, nella pagina dedicata all’evento.

Fotografie ufficiali del concerto di Grado alla diga Nazario Sauro (by Simone Di Luca)

Il resto del concerto non lo riporto. Sarebbe la solita cronaca noiosa e la mia impresa vale tutto la serata!
Al termine del concerto, durante il quale il pubblico non ha fatto temere nulla di quanto avvenuto la sera prima, tra la folla incontro Fabietto e Vannijoe del gruppo di Treviso. Fuori intanto la gente da la caccia a poster e volantini, mentre un ragazzo e una ragazza fuggono di corsa verso il ristorante “L’Androna”, dove su segnalazione di un gelataio intento a fumare sulla porta del suo negozio, ha fornito ai due la dritta di dove poter trovare la band portata ora a cena. Intanto gli spettatori del concerto, gli abitanti della cittadina e i turisti passeggianti si confondono sui viali di Grado in una notte d’estate che potrà sembrare una qualsiasi. Ma per qualcuno invece è una notte del tutto unica e speciale.
Sono trascorsi diversi mesi da quelle due settimane passate sulle note musicali partite da Venice Beach in California. Soltanto ora ho potuto mettere a punto questo mio resoconto che tra una menata e l’altra per la sua stesura ha tardato a veder una conclusione. In molti ancora oggi mi chiedono di raccontare le mie sensazioni di Parigi e io soddisfo la loro richiesta raccontando anche di Grado. Alcuni mi presentano agli altri come “lui è quello di cui ti dicevo…è stato a Parigi…”. Ma cosa mi rimane di tutto questo? che significato ha avuto? perché si fanno queste cose? Oltre alle foto, le registrazioni, i filmati, i gadget raccolti un po’ dappertutto, ovviamente mi rimangono i ricordi vivi che talune volte senza neppure chiudere gli occhi, rivivo in maniera così intensa da sembrarmi di essere lì, sentire il profumo dell’incenso, il caldo dell’estate, il vociare delle persone. Tutte queste sensazioni e ricordi però sono nulla in confronto alla soddisfazione che provo tutt’ora. E’ parte di me, è divenuta cosa della mia vita che nessuno potrà mai portarmi via. E’ un trofeo, un tatuaggio indelebile e invisibile da esibire al momento giusto. Ma perché si portano a termine queste imprese? Perché si crede tanto in alcuni valori così astratti, impalpabili che a qualcun altro possono voler dire nulla? Chiedete ad un tifoso di una squadra il motivo per il quale indossa i colori del cuore, chiedete ad un sostenitore politico perché tanto crede nelle parole di un uomo che solamente parla, chiedete ad un appassionato di qualsiasi genere di passione si tratti, il motivo di tanto credere nel suo ideale. La sua risposta sarà sempre la stessa, banale, ovvia, logica, già sentita e uguale risposta che vi daranno tutti quanti. In realtà dietro alla risposta di alcune misere parole c’è un significato ben più grande che non si può esprimere parlando e che probabilmente ignoriamo esserci. E’ qualcosa che viene dal profondo del cuore, che nasce senza un perché e che ti porta ad approfondire la conoscenza, ti stuzzica la curiosità e cresce sempre. E’ stata una fortuna andare a Parigi e soprattutto una scelta sensata partecipare. Ha consolidato la mia passione e mi rende forte sulle mie idee ed esperienze. Non so a quanto sarà servito scrivere tutte queste righe e quanti le leggeranno fino in fondo, ma sentivo il bisogno di farlo per raccontarlo a chi avrebbe voluto esserci assieme a me ma non ha potuto farlo, e quindi sono stato lì anche per loro a rappresentarli, e quindi a loro lo dedico. Ma l’ho fatto soprattutto per gridarlo e vantarmi con chi tanto parla e sparla ma alla fine è solamente un fannullone. Se siete degli smilzi che per sopperire ad alcune mancate soddisfazioni esaltano i loro amici mediocri musicisti con il solo scopo di esaltare se stessi, se portate il nome di un pesce noto alla televisione volendo far credere a tutti di essere i più grandi e mancate di rispetto a chi vi circonda che vi considera dio e voi invece ne approfittate senza ritegno, allora potete solamente far vedere che avete le tasche vuote come lo siete voi. So che lo posso fare senza vergogna e quindi me ne vanto davanti a voi, perché ora che ci ripenso nuovamente per l’ennesima volta e mentre rivivo ogni determinato istante con le lacrime di una bella e soddisfacente emozione agli occhi come un bambino, posso dirvi con altrettanta soddisfazione di starvene zitti, perché IO ERO A PARIGI!



Link utili:

Sito ufficiale di Ray Manzarek e Robby Krieger

The Doors Collector Magazine; memorabilia, informazioni, rarità. Fondato e curato da Kerry Humphreys. Il suo nome appare tra i i ringraziamenti del libro di Greg Shaw Jim Morrison e i Doors-On the road-Tutti i concerti.

Pagina di Rainer Moddemann, noto personaggio nell’ambito Doors. Il suo nome appare tra i crediti del documentario The Doors in Europe e tra i ringraziamenti del libro di Greg Shaw Jim Morrison e i Doors-On the road-Tutti i concerti.
Questo link contiene utili informazioni e itinerari precisi inerenti la storia dei Doors e di Jim Morrison per le città di Parigi e Los Angeles.

Organizzazione eventi; organizzatori del concerto di Grado del 10 luglio 2011, e del concerto di Krieger e Desmore a Lignano nel luglio del 1998.

Due blog contenenti svariato materiale di concerti avvenuti a Parigi, compreso quello del Bataclan del 3 luglio 2011.

Alcuni degli utenti che hanno condiviso materiale video
                                                                                       
Concerto di Parigi 03 luglio 2011
http://www.youtube.com/user/pellegrinodelsuono(il mio account YouTube)
 

4 commenti:

  1. un capolavoro! pena gò un attimo leggo tutto ;)

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  2. Ciao!
    Ero il responsabile della Security al concerto di Ray Manzarek and Robby Krieger al Pistoia Blues, dove effettivamente successe di tutto. C'è da dire che il pubblico era davvero numerosissimo, tanto che si arrivò al sold out.
    Ho letto il tuo racconto dei due concerti e l'ho trovato bello, anche se debbo sottolinearti un errore; il tour manager di questa tournee non era Tom Vitorino bensì Jo Lopez, che fungeva anche da fotografo della band e che, allo stesso tempo è fotografo di Bruce Springsteen (e di molti altri artisti, come Bob Seeger ad esempio).
    Posso affermarlo con certezza dato che a pistoia passammo tutta la giornata praticamente assieme e lo ritrovai anche al concerto di Firenze di Springsteen, appunto, l'anno successivo, dove fungevo ancora da responsabile della security.

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  3. Ciao Silvano,
    Ti ringrazio per aver letto il mio testo, aver lasciato un commento e soprattutto per aver fatto la precisazione sul mio errore.

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  4. Ciao,
    Come ti ho scritto nel mio commento, la persona che hai scambiato per Tom Vitorino era Jo Lopez, fotografo ultrafamoso (fotografo personale di Bruce Springsteen tra l'altro), che durante il tour del 2011 fungeva da tour manager di Manzarek-Krieger.

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