martedì 14 febbraio 2012

Giappone, l'Impero del Sol Levante! (settembre 2008)

di Cristiano Pellizzaro



Giappone, eterna meraviglia, contrasto tra moderno e passata tradizione.
Una cultura così distante che affascina.
E’ passato già un mese dal mio ritorno, ma con la testa sono ancora la anche se capita alcune notti di sognare del Giappone, dei giapponesi e dei posti che ho visto. Veramente è valsa la pena fare questo viaggio.
Il festival di percussioni meritava molto sia per lo spettacolo che per l’organizzazione.
I giapponesi sono incredibilmente sociali, miti, gentili e cortesi. Mai avuto un problema con nessuno, mai mi sono trovato in difficoltà, mai che mi fossi sentito con la paura addosso da dover allontanarmi da qualche parte perché sentito a disagio o perché osservato.
Non si è mai presentato il panico del viaggiare da solo durante le due settimane; in nessun’occasione. Sempre calmo e tranquillo, anche in aeroporto a Tokyo appena arrivato, quando mi hanno riferito che la mia valigia era rimasta a Parigi, promettendo di farmela recapitare in albergo il giorno dopo e invece è arrivata il giorno stesso!
Addirittura l’ultimo giorno del festival, seduto sul prato a gustarmi lo spettacolo tutto da solo, circondato da gente mai vista prima e che mai avrei rivisto, ero talmente tranquillo e rilassato che ad un certo punto mi sono detto “Lo sai che erano anni che non ti sentivi così tranquillo, soprattutto in solitudine?”…mi sembrava di stare a casa, sul divano a guardare la televisione!
Un paese dove l’inglese lo parlano in pochissimi e di questi pochissimi ancora meno sono quelli che lo parlano in maniera sufficiente per intraprendere un dialogo semplice. Ma la voglia da parte loro di comunicare c’è, e a gesti o disegni sulla carta, ci si capisce subito, senza fraintendere! Eccezionale, perché sembra un paradosso. Con loro la comunicazione era eccellente, con certi miei colleghi italiani con i quali si parla ovviamente l’idioma tricolore, a volte ho delle grosse difficoltà di comprensione.
Ammetto che la prova del viaggiare da solo è stata superata in Giappone, ovvero un paese che funziona, che la gente non da fastidio a nessuno e dove tutti sono aperti. Queste sono state le caratteristiche che hanno reso il mio rientro a casa “drammatico….”. Arrivi e ti devi ambientare a casa tua dove le macchine non lasciano i pedoni attraversare sulle strisce, dove gli invalidi hanno il parcheggio riservato a fianco della ringhiera posta sul lato autista, dove i mezzi pubblici hanno conducenti stressati e poco gentili con i passeggeri, dove i treni se arrivano è già tanto, dove trovi facilmente uno che potrebbe volerti fregare. La calma è la miglior cosa in qualsiasi momento, e non sempre potrebbe svolgersi così un viaggio.
Al contrario dei ragazzi o degli uomini, che sono come i personaggi dei cartoni animati, le giapponesi sono bellissime. Non lo sono come le scandinave che non ne butteresti via una; come qui da noi le potremmo classificare in belle, medie e brutte, però quelle che sono belle sono belle; hanno visi dolci, sono come delle bambole, fanno dei sorrisi e delle espressioni che rivelano degli occhi grandissimi. Pure senza trucco rendono moltissimo. Però dai quaranta in poi iniziano a invecchiare.
La gente ti osserva, e ti senti osservato. Non ti senti a disagio, perché la loro curiosità ti lascia intuire che vorrebbero sapere di più sul tuo conto. Vorrebbero sapere chi sei, da dove arrivi, che cosa fai nella vita e perché hai deciso di andare nel loro paese.
In diversi casi mi è capitato di ricevere volontariamente delle informazioni da parte dei giapponesi che con la scusa di chiarire i miei dubbi approfittavano per chiedere alcune cose sul mio conto, o accompagnarmi loro stessi nei posti che stavo cercando.
Addirittura appena uscito dalla stazione dei treni di Niigata, in attesa della coincidenza per Tokyo, mentre cercavo un posto dove mangiare, un ragazzo mi avvicina; lo vedo che si dirige verso di me puntandomi il dito come per chiedermi qualcosa. Mi raggiunge, mi da la mano e si presenta, fa l’inchino e mi chiede se sono americano. Dico che sono italiano e molto sorpreso chiede se sono di Milano, Roma o Venezia. Gli dico che sono di Trieste e gli spiego dove si trova. Avremmo chiacchierato cinque minuti assieme e poi mi ha nuovamente salutato inchinandosi e dandomi la mano.
Giappone non vuol dire solamente grattacieli e tecnologia, ma tanta e tanta storia e cultura. Una cultura così distante dalla nostra che se loro vengono da noi e fotografano tutto, noi andiamo da loro e fotografiamo tutto.
Non è per nulla difficile girare per Tokyo o Osaka e incontrare delle persone, anche giovani vestiti con la yukata e con i tabi ai piedi per il puro gusto di vestire ancora in modo tradizionale.
Se prima di partire avessi ascoltato solamente chi in Giappone c’è stato veramente e lasciando stare chi parlava per sentito dire che mi diceva “impossibile comunicare perché non sanno l’inglese”, “tutto e solo scritto con gli ideogrammi”, “costoso da far paura”, non mi sarei fatto tante paranoie inutili. Vivere in Giappone probabilmente costa e non poco, ma un pasto in simpatici ristoranti come il Mambo di Kiss me Licia, dove mangiano pure loro e si fanno pasti da andare via più che sazi, mangiavi un loro primo, birra, contorno e dolcetto per 7 o 8 euro.
Chiaro che poi ci sono i ristoranti di lusso o le classiche trappole per turisti dove spendi parecchio come i ristoranti dove il cuoco acrobata dei coltelli affetta il pesce palla, ma a Kyoto in una zona molto bella e frequentata da turisti ho cenato in un bellissimo ristorante, seduto a terra sul tatami, vicino alla finestra che dava sul giardino zen e con la cameriera vestita in kimono che serviva. 30 euro, per mangiare bene e tanto.
Svezia, Islanda e Finlandia le ho trovate molto più costose.
I servizi in Giappone costano; i treni sono puliti, perfetti e silenziosi. Sempre puntuali, al terminal arrivano con dieci minuti di anticipo per permettere agli addetti delle pulizie di salire per portare via le poche cose che hanno lasciato i passeggeri, cambiare i poggia testa sui sedili e passare l’aspirapolvere. Con i treni percorri la distanza tra Osaka e Tokyo (quasi uguale a quella tra Milano e Trieste), in due ore e mezza.
Le macchinette per i biglietti dei treni e della metrò sembrano delle slot machine elettroniche con traduzione delle funzioni in inglese. Chiedi le informazioni per poter fare il biglietto, e non appena lo hai ottenuto con l’assistenza di qualcuno di loro, ti rendi conto di quanto semplice è il sistema.
Stazioni della metrò con 40 uscite, costruite su 4 o più piani. Dentro trovi di tutto; dai negozi ai ristoranti. Le prime due sere a Tokyo, arrivato alla mia fermata per tornare in albergo, non avendo considerato di guardare il numero dell’uscita che imboccavo al mattino per andarmene a zonzo, andavo ad intuito. Entrambe le volte sono uscito tutto dall’altra parte del quartiere.
Ma sbagliare l’uscita della metrò nel “mio” quartiere sì è rivelato molto divertente. Arrivato in superficie, scoprivo una nuova parte del quartiere piena di vita, di luci, di gente. E dovevo appena capire dove mi trovavo. Bizzarro e divertente perchè non abituato ad orientarmi in un luogo che non conoscevo e senza poter fare affidamento sui nomi delle vie come da noi perché loro la toponomastica l’adoperano solo per le vie principali di grande afflusso del traffico.
E poi i giapponesi che ci mettevano un po’ per capire loro stessi sulla mappa dove eravamo e dove dovevano mandarmi.
Stavo nel quartiere periferico di Ikebukuro (a detta di una ragazza che in Giappone ha vissuto per due anni e che ho conosciuto prima di partire, il peggiore di Tokyo, ovvero “ …è come Trieste, puoi stare tranquillo!”, mi ha detto, perché in Giappone non esiste delinquenza), ovvero il rione degli uffici delle imprese e dei ministeri, quindi molto frequentato.
Al mattino alle 8 andavo verso il metrò e dovevo sfidare l’enorme massa di gente che andava a lavorare in senso opposto al mio. Ed ero solo a proseguire in quel senso di marcia. La folla si fermava solamente per attendere di attraversare le strisce al semaforo.
Proprio in quel momento mi rendevo conto di quanti sono veramente. Era divertente stare seduti ad osservare gli incroci stradali come cambiavano d’aspetto non appena scattava il verde per i pedoni. Da quattro misere macchine che passano ad una folla oceanica sull’asfalto.
E poi l’ultima mattina a Tokyo; sveglia alle 4 per essere alle 5 al mercato del pesce per assistere alla prima asta del giorno. Alle ore 4.30 stavo per uscire dalla stanza, che già mi chiamano dalla reception per avvisarmi che il taxi che ho prenotato la sera prima era arrivato. Quasi trenta euro per 20km e mezz’ora di strada, in una delle capitali più popolose del mondo ma così ordinata, e scopro che il mercato del pesce sarà chiuso per tre giorni. Ma non sono l’unico che ci rimane male perché ne arrivano pure altri. Che fare alle 5 del mattino, quando hai ancora 45 minuti di tempo prima che passi il primo metrò e 3 ore di tempo prima di dover lasciare l’albergo? Mi sono messo a camminare a “folla” come dice un mio amico che in questo viaggio sarebbe stato la persona ideale, tanto mi son detto “tempo ne ho, e quando sarà ora, alla prima fermata di metrò scendo a prendere il primo treno”. Se alla sera alle 19 era già buio, alle 5 era già bello chiaro, ma poca gente in giro, poche macchine, e io che allora approfitto del traffico assente per stare in mezzo alla strada per fare fotografie, e poi riprendere a camminare, calmo, sereno, senza sonno e chissà perché fischiettando una canzone del primo disco dei  Baustelle.

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