martedì 14 febbraio 2012

La favola del folletto immaginario (dicembre 2010)

di Cristiano Pellizzaro

La prima vera stretta di freddo della stagione, un po’ inaspettata per l’anomalia delle temperature del periodo, mi stava assalendo in modo feroce davanti al Teatro Miela. E’ martedì 23 novembre 2010, sono riuscito a svincolarmi dal lavoro e sto aspettando Piero per andare a mangiare qualcosa prima di incontrare gli altri.
L’atmosfera che mi sta accompagnando dalla mattina è quella della festa, dell’evento che attendi con una certa impazienza; impazienza che ho imparato per certi versi a controllare e domare; e sta volta provo un gusto speciale.
Ebbene sì, gli Ozric Tentacles finalmente a Trieste. Pure loro passano per la città con la più grande Piazza d’Europa dalla quale si vede il mare; la stessa piazza che l’anno precedente aveva ospitato la carovana di Carlos Santana e i Gong che gli stessi Ozric venerano; ma loro, data la stagione, data l’entità dell’evento, sono ospitati al Teatro Miela.
Quattro passi assieme a Piero per decidere cosa mangiare e dove mentre si chiacchiera di normali vicende quotidiane; manca poco al ritrovo e ritorniamo nuovamente verso il teatro parlando del concerto al quale assisteremo da lì a poco e alla sua domanda “Che cosa ti aspetti da questo concerto?”,non gli nascondo che vorrei una serata da faville ma allo stesso tempo sono molto scettico. Forse ancor di più di quanto potevo essere ottimista.
In effetti il mio timore che la band potesse lasciarmi insoddisfatto era molto grande.
Ho visto gli Ozric ben 7 volte; sempre un ricordo vivo e diverso, perché sempre in posti differenti tra loro e perché sempre in situazioni diverse e in periodi particolari della mia vita.
Nel 1997 al Beach Boom Festival. Forse l’ultima edizione non commerciale dell’evento di Jesolo. Li ascoltavo da nemmeno un anno. Era il tour di Become the other, suonarono quindi un set ridotto anche se si esibivano come headliner nella serata finale alle ore 24.00 di un sabato sera. Vissi di rendita per un bel po’ tempo.
Nel 1998 al Rototom di Pordenone: era il tour di Corious Corn. Rimasi allucinato per quanto mi scossero la percezione,  e pur essendo annebbiato, ricordo molto ma molto bene quella serata.
1999, Magic Bus di Mestre: Waterfall cities; 2000, New Age di Roncade, End of millennium tour e disco The hidden step. Forse l’esibizione più elegante. Probabilmente perchè quella sera a fine concerto li incontrai in camerino assieme al mio amico Tony.
2002 e 2003, forse sarebbe meglio rimuovere dalla memoria le date di questi due anni. Per gli Ozric inizia un periodo malsano; iniziano ad abbandonare la band i vari Zia, Rad, Seaweed e John Egan il magico flautista che mimava e viaggiava sul palco.
I dischi da quel periodo ad oggi hanno segnato un ritorno al primo periodo, quello più elettronico e meno  rock al quale sono affezionato. Produzioni discutibili e concerti un po’ incerti, dove un musicista sostituto dell’ultimo momento prima di partire per il tour veniva aiutato on stage come ho notato in una circostanza.
Ora sono sette anni che non li vedo, se non sbaglio l’ultima volta che sono venuti in Italia era stato il dicembre 2005. Chissà cosa sarà successo in questo periodo.
A pochi passi dal teatro, mentre si cammina sul marciapiede, una macchina si ferma a pochi passi da noi e vediamo scendere Toni. Ora siamo in tre. All’entrata troviamo Paolo, che al mio invito a venire a vedere gli Ozric, non ha esitato ad accettare. D’altronde è pure lui un appassionato di musica. Ne ha ascoltata tanta, è curioso come lo siamo io e Toni. Glieli ho fatti conoscere io una decina di anni fa durante uno dei nostri primi incontri, quando parlavamo dei Doors, nostra passione in comune.
A me invece li ha fatti conoscere Toni alcuni anni prima. In una delle sue tante incursioni in un negozio di dischi, era riuscito a scovare il nome di quel gruppo britannico che alcuni giorni prima aveva sentito ad una radio indipendente.
La carrellata di personaggi che sfilano e si radunano davanti all’entrata del teatro, è variegata come ogni raduno Ozric per quanto riguarda l’età, ma molto più sobria rispetto al solito nell’entità dei personaggi che sembrano uscire allo scoperto soltanto in queste occasioni.
Certi profumi di spezie aromatiche orientali invadono piacevolmente l’aria; qualcuno di noi lo fa notare agli altri e qualcun altro alzando la testa verso il cielo e aspirando profondamente dice “peccato che solo si annusa e non si ha la possibilità di provarne il piacere a gustarne un po’…”. Scoppia ovviamente la risata e nemmeno a farlo apposta, un tizio vicino a noi, raggiunti due amici e dopo avergli osservato gli occhi, esclama ridendo “ma ci avete messo almeno un po’ di tabacco dentro?”
Piero è un altro di quei personaggi musicalmente parlando, incuriositi dalla varietà dell’arte del suonare, che ha voluto essere dei nostri. Non li ha mai ascoltati ed è venuto per vedere cosa mi spingesse tanto a parlargli di loro. Il triangolo formatosi tra Piero che mai li aveva visti e mai ascoltati, Paolo che li aveva ascoltati ma mai visti e Toni che li ha visti e ascoltati, era il paradosso della situazione del momento. Se non li hai mai ascoltati, dice qualcuno ridendo, non sai cosa ti aspetta.
La gente per la serata è accorsa da fuori regione, dalla Slovenia e dalla Croazia. Più di qualcuno è rimasto senza biglietto. Immaginavo ci sarebbe stata una calca di gente ma mai avrei immaginato di vedere affisso il cartello “Teatro esaurito” alle porte della struttura.
Dentro oramai si cercano i posti che iniziano a non esserci più. Ci raggiunge pure Tatiana, e arriva anche Marco.
Scegliamo la galleria al piano di sopra. A pochissimi concerti ho assistito da qui sopra e lo spettacolo al quale si potrà assistere da questa postazione sarà memorabile.
Puntuali si spengono le luci. Ed entra per primo e prendo posto. Ci aspettano due ore e mezzo di spettacolo, consueta routine di un loro concerto e soprattutto senza sosta e suonato a livelli tecnicamente molto buoni, elevati e talmente tanto psichedelici nel presentarsi al pubblico che ora le due mezze sfere, quella del senso visivo e quella del senso uditivo, si uniscono e si parte per un viaggio.
La loro musica è un mix di trance, rock, progressive, jazz, echi tribali ed etnici, elettronica, ambient spaziale da allucinazioni. Li etichetti come gruppo rock ma è fin troppo riduttivo.
Ricordo che a Jesolo nel 1997, come detto prima, la priva volta che li vidi, la presentatrice li annunciò dicendo “…dopo il concerto evento della scorsa edizione di un anno fa, atmosfere da sogno con gli Ozric Tentacles!”.
La band gode di ottima salute e lo si sente. Il sound gira molto bene; la batteria è precisa, ha groove e non tira indietro, chi la suona è un baldo giovanotto che non si stanca mai e sa come colpire con l’intensità giusta e c’è feeling con la bassista.
Oltre a roba delle ultime produzioni, rispolverano un sacco di roba vecchia da Jurassic Shift del 1993 (Vita Voom), Arborescence del  1994 (Myriapod), Strangeitude del 1992 (White Rhino Tea, Sploosh), Erpland del 1990 (Erpland, Eternal Wheel, The Throbbe, Sun Scape) e sul finire reggae di Ayurvedic (da Pungent Effulgente del 1989), inseriscono qualche passaggio da Sultana Detrii da Waterfall Cities del 1999.
Osservare dall’alto la loro esibizione è bellissimo; i fari sparano luce in tutta la sala fino al soffitto alto sopra le nostre teste, mentre immagini caleidoscopiche colorate o di paesaggi immaginari proiettate sullo sfondo dietro al batterista danno forza a quella musica colorata dai fasci di luce montati sul palco.
Toni e Tatiana ballano incessantemente, la gente in platea sembra essere in trance. Tutti ammassati in piedi sotto il palco. Chi a torso nudo ondeggia tutto sudato nella prima fila mentre chi sta seduto ammira e gode piacevolmente in tutta tranquillità.
Mi fa un certo effetto osservare lo spettacolo da qui su, soprattutto se cerco di “ascoltare il pubblico”; sì, perché avete presente quando si va al luna park e si arriva in prossimità delle montagne russe? In quella situazione senti la musica delle giostre e solo in certi momenti senti la gente gridare dalle carrozze, perché urlano solo quando il percorso si fa tosto, da brivido, poi più nulla fino ad un altro momento da sballo. Li senti a tratti, solo in determinati momenti come se le loro urla fossero riprodotte da un altoparlante al quale viene dato il volume di tanto in tanto. Ecco, questa è stata l’impressione. D’accordo che la musica era alta, ma la gente non si dava alla solita cagnara da forsennati. Di tanto in tanto si sentiva qualche urlo di apprezzamento che poteva essere forse un inconscio grido liberatorio in uno stato di trance artificiale dovuta all’utilizzo di elementi catalizzatori.
Ma tutto ha un certo sapore, un buon gusto da immaginario, anche se talvolta gli Ozric suonano delle melodie e creano delle atmosfere così aggressive e graffianti che più che un sogno potrebbero essere la colonna sonora di un sogno di quelli strani o di quelli ansiosi nei quali si sta attenti ma non si sa da chi o da cosa.
Poco importa perché alla fine tutti andiamo via contenti, soddisfatti e compiaciuti di aver avuto la sorpresa di poter vivere uno spettacolo così, entrando in quei paesaggi immaginari delle copertine dei loro dischi attraverso il portale malconcio di Erpland e vedere lo stesso Erp girovagare nel suo mondo.



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